Uccise la mamma di suo figlio: 30 anni a Paolo Cugno per il femminicidio di Laura Petrolito
Ieri la sentenza, al termine del processo celebrato con il rito abbreviato, per i drammatici fatti avvenuti nel marzo 2018. Intervista ad Elena Salemi, legale del Centro Antiviolenza Ipazia di Siracusa, che dice: "Dall'assassino nessun segno di pentimento"
(5 aprile 2019)
La Gup del Tribunale di Siracusa, Carla Frau, ha condannato a 30 anni di reclusione, colpevole di omicidio volontario aggravato dai futili motivi, Paolo Cugno, l’operaio ventisettenne di Canicattini Bagni reo confesso del femminicidio di Laura Petrolito, la mamma 20enne, anche lei di Canicattini Bagni, uccisa a coltellate e poi gettata in un pozzo artesiano nel marzo 2018. Il figlioletto di Laura e Paolo aveva 8 mesi al momento del delitto. Al processo, celebrato ieri mattina con rito abbreviato, la Giudice ha sostanzialmente accolto la richiesta del Pm, Marco Dragonetti che aveva chiesto 30 anni per via del rito abbreviato, concedendo le attenuanti generiche, ritenute però subvalenti rispetto alle aggravanti.
La vicenda risale alla notte tra sabato 17 e domenica 18 marzo dello scorso anno, quando a dare l’allarme per la scomparsa di Laura fu il padre che, conoscendo i continui dissapori tra la figlia e il genero, non riuscendo più a contattarla al cellulare rimasto muto, intorno alle dieci avviò le ricerche della giovane chiedendo aiuto al padre di Paolo Cugno. I due uomini e i militari dell’arma, nel frattempo avvertiti, proseguirono sino dalle vie del piccolo centro ibleo e ai campi vicini. Poi, nelle campagne di Stallaini, e più precisamente in contrada “Traditusu”, a circa quattro chilometri da Canicattini, la terribile scoperta del corpo della giovane vittima, all’interno del pozzo scoperto dai carabinieri. Laura era stata uccisa con almeno sei coltellate inferte al collo e al petto, queste le conclusioni del medico legale Francesco Coco, e poi nascosta in un anfratto di circa 30 centimetri. Alcune ore dopo i carabinieri avrebbero posto in stato di fermo il ventisettenne compagno della vittima, reo confesso del femminicidio. A difendere Paolo Cugno, l’avvocato Giambattista Rizza che, sin dalle prime fasi del procedimento, ha sostenuto l’incapacità di intendere e di volere del proprio assistito, motivazione in seguito alla quale l’operaio canicattinese è stato sottoposto a due perizie pschiatriche, la prima nel giugno ’18 in occasione dell’incidente probatorio, dalla quale Cugno è risultato assolutamente capace di intendere e di volere.
Un esito che non ha, però, convinto il difensore, appellatosi a cure mediche sostenute in passato dal suo assistito, in seguito alle quali gli era stata diagnosticata una forma di schizofrenia alla quale si sarebbe aggiunto, nel 2014, un trattamento sanitario obbligatorio a cui Cugno era stato sottoposto con un ricovero di circa quindici giorni. In seguito a queste risultanze, la Gup presso il Tribunale di Siracusa, Carla Frau aveva accolto la richiesta dell’avv. Rizza disponendo una seconda perizia psichiatrica effettuata nel febbraio di quest’anno con i medesimi esiti. Della vicenda che ha visto la condanna in primo grado a trentanni di reclusione per Paolo Cugno, sentenza sulla quale il legale, Giambattista Rizza, ha già annunciato il ricorso in appello, noi di Ialmo abbiamo parlato con l’avv. Elena Salemi, legale di parte del Centro Antiviolenza Ipazia di Siracusa, costituitosi parte civile al processo per il femminicidio di Laura Petrolito. “Il mio intervento in aula – ha detto – si è concentrato sulla figura di Laura Petrolito e su come viveva il suo rapporto con il compagno. Questo si è potuto ricostruire attraverso i messaggi che negli undici giorni precedenti alla sua morte, la ragazza ha inviato alle sue amiche”.
Che tipo di persona emerge da quei messaggi?
Laura alternava momenti di felicità ad altri di angoscia, in un’atmosfera di violenza dimostrati da alcuni messaggi alle amiche in cui si diceva disperata per questo amore travagliato, mentre in altri sembrava avere ritrovato la serenità perché magari avevano fatto pace e lei si rincuorava. Addirittura, in un messaggio dichiarava alla cognata che le sembrava di essere tornata ai vecchi tempi in cui la storia con Cugno andava bene.
Questo non farebbe che smentire quanto rappresentato dalla difesa di Cugno, che invece tendeva a dipingere la vittima come una ragazza eccessivamente gelosa ed aggressiva…
Certo, era la motivazione per cui la difesa chiedeva l’attenuante della provocazione, in quanto sarebbe stata lei a provocare il compagno con la sua continua gelosia, ma dai messaggi di cui dicevo emerge un quadro ben diverso: ecco perché questa tesi è stata rigettata dalla Giudice.
Che idea si è fatta di questa vicenda?
Durante tutto il processo, Paolo Cugno non ha mostrato alcun segno di emozione o di pentimento, ha ascoltato la lettura della sentenza in silenzio e, per il quadro che è stato ricostruito durante il processo, secondo me tutta questa bruttissima storia è frutto di un ambiente degradato in cui la violenza entrava a far parte del quotidiano come un qualsiasi intercalare, una maniera di rapportarsi l’uno con l’altra.
Cosa l’ha più colpita di più?
Dicevo prima che Cugno non ha dimostrato alcun pentimento, e questo fa il paio con le modalità con cui è stato portato a termine questo crimine, mi riferisco non soltanto all’uccisione ma anche all’occultamento del corpo della povera Laura. Alcuni dettagli del ritrovamento del cadavere da parte dei Carabinieri evito di raccontarli, perché sono abbastanza crudi, ma sono gli stessi che Cugno ha raccontato con estrema freddezza. Anche in quel caso, nonostante l’efferatezza di quanto esposto ai militari, non ha mostrato alcun ravvedimento; motivo per il quale, secondo me, non andavano concesse attenuanti. Naturalmente avremo un quadro più preciso quando sarà depositata la sentenza, in quel caso conosceremo le motivazioni.
In questo caso lei ha rappresentato la costituzione di parte civile di un Centro Antiviolenza, che valenza ha?
I centri antiviolenza operano sul territorio a supporto delle donne e dei propri figli, vittime di violenza o peggio di femminicidio. Sono dei presidi che assistono le vittime e diventano il primo punto d’accoglienza ed ascolto in grado di supportare le donne che decidono di sottrarsi alla violenza e denunciare il proprio aguzzino, in un momento così delicato e difficile. Essenzialmente, non facciamo altro che applicare la Convenzione di Istanbul ratificata dal nostro Paese nel 2013 (primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza) e le sue “quattro P”: Prevenzione, Protezione e sostegno delle vittime, Perseguimento dei colpevoli e Politiche integrate.
Nadia Germano Bramante