Ragusa – Crolla la produzione di petrolio, finita l’era delle trivelle?
Il petrolio non piace, ma le royalties si. Lavoratori a rischio
A Ragusa persa il 90% della produzione di petrolio in meno di un anno e tutto l’indotto è seriamente a rischio. L’allarme è stato lanciato dalle segreterie di Filctem, Femca e Uiltec secondo cui non è tutta colpa del Coronavirus, ma di una politica aziendale che sembra puntare alla dismissione dei giacimenti. «È inaccettabile e ingiustificato- si legge nella nota dei sindacati – il fermo delle estrazioni in quota Enimed, nel nostro territorio.» Se In Italia il lockdown ha generato un calo della domanda di petrolio del 70, 80%, per i sindacati, il crollo della produzione ragusana è da attribuire ad altre cause che poco hanno a che fare con la pandemia in corso. «Abbiamo assistito – si legge in una nota che i sindacati hanno inviato ad Enimed – in questo ultimo anno a un inarrestabile abbassamento dei livelli quantitativi di estrazione di idrocarburi dalle concessioni minerarie Eni della provincia di Ragusa. E non solo. Fermo anche il campo Tresauro, in cui la società Enimed è in compartecipazione con Edison e Irminio». In soldoni: Eni non estrae più petrolio in provincia. Per i sindacati, la riduzione del 90% di produzione, iniziata prima del lockdown, non può essere giustificata in nessun modo, ed è per questo motivo che le sigle firmatarie della lettera inviata ad Enimed, hanno formalmente riferito al sindaco Cassì della criticità delle produzioni, con tutto ciò che ne consegue anche in termini di versamento delle royalties per la collettività. Ma la preoccupazione è per i livelli occupazionali a rischio.
Ragusa ha sempre fatto gola ai ricercatori di petrolio
Quella tra Ragusa e il petrolio è stata da sempre una storia d’amore e d’odio. Da un lato la consapevolezza che la comunità di una città soggetta ad estrazioni petrolifere può incorrere in dei rischi per la salute delle persone, dall’altro lato il vantaggio di beneficiare delle royalties e di migliaia di posti di lavoro. Riguardo il primo punto, come non citare lo sversamento che dal 27 aprile 2019 interessa l’area del Pozzo16 in contrada Moncillè. Da un anno e mezzo Enimed è impegnata nelle operazioni di messa in sicurezza dell’area, ma non si è ancora riusciti a capire da dove sia arrivato il greggio.
Sulla vicenda, tra l’altro, c’è anche un esposto firmato dal presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani, attraverso il quale si chiede alla Procura di indagare per il reato di disastro ambientale. Negli iblei le prime ricerche di petrolio iniziarono nel 1949 con la concessione data alla Gulf Oil. Quello di Ragusa è sempre stato un comune ghiotto per le compagnie petrolifere, basti pensare, come scrive il professore Aldo Ferrara nel suo libro “La vita al tempo del petrolio”, che nella sola area iblea si passò da un’estrazione di 2550 tonnellate di petrolio a più di un milione di tonnellate complessivamente dal 1953 al 1957, pari al 12% del fabbisogno nazionale. Tanto che L’Eni chiese ed ottenne nuove concessioni. Venendo ai tempi nostri, da anni i sindacati denunciano il brusco calo della produzione con la conseguenza di un incremento dei licenziamenti. Già nel 2016 si parlava di dimezzamento per le concessioni minerarie di Irminio, Ragusa e S. Anna (Tresauro), elencando una serie di cause quali la riduzione del prezzo del petrolio e l’eccessivo sfruttamento dei giacimenti ai limiti della loro capacità mineraria. Nel 2014, le produzioni della concessione di S. Anna, erano seconde solo a quelle del centro oli di Viggiano in Basilicata, ma oggi quei numeri sono solo un lontano ricordo.