Ragusa, minacciati dal virus e prigionieri di una pubblica amministrazione ignorante e inadeguata
La domanda semplice di Dario Tasca: geolocalizzazione obbligatoria per gli ‘isolati’? La Protezione civile regionale latita, non sa, balbetta, confonde e poi la spara grossa: ‘ma lo sa che la privacy è stata abolita’
(29 marzo 2020)
Il virus, questo killer subdolo e velenoso, ha un ‘alleato’ formidabile: l’ignoranza, un deficit culturale gravissimo, la totale inidoneità di moltissimi operatori della pubblica amministrazione che, anche quando dà prova di impegno e generosità, rivela il suo limite genetico: in gran parte i suoi organici sono pieni di persone reclutate non per meriti ma per selezione clientelare da parte di un potere politico ombroso e invadente che in cambio di fedeltà è stato (e temiamo lo sia ancora) disposto ad occupare ogni spazio pubblico, condannando così i cittadini-utenti a pagare, con le proprie imposte e tasse, servizi da terzo mondo. Come quello ‘erogato’ da questa funzionaria della protezione civile regionale ad un cittadino di Ragusa, Dario Tasca, il quale racconta così la sua esperienza in questa lettera che pubblichiamo.
Sono arrivato in Sicilia il 15 marzo. Da bravo cittadino mi sono autodenunciato, secondo l’ordinanza della Regione, alla Protezione civile regionale, alla Protezione civile comunale, all’Azienda sanitaria provinciale e al mio medico curante. Dopo di che mi sono posto in isolamento fiduciario, in un appartamento in cui vivo da solo. I 14 giorni richiesti dalla normativa sarebbero scaduti oggi, 29 marzo. In settimana ricevo chiamate dall’Azienda sanitaria provinciale e dal mio medico curante al fine di ricevere informazioni sul luogo dove sto svolgendo l’isolamento fiduciario e sulle mie condizioni di salute. Da colei che mi chiama per conto dell’Asp ricevo la conferma che domenica 29 marzo sarebbe finito il mio isolamento fiduciario.
Nel pomeriggio di sabato 28 marzo ricevo un messaggio dalla Protezione Civile della Regione Sicilia, con il quale mi si richiede di registrarmi a un’app web – Sicilia Si Cura – allo scopo di trasmettere informazioni riguardanti i miei contatti e il mio stato di salute. Fino a qui tutto bene, se non fosse che l’app non funziona se non accetto di essere geolocalizzato tramite il mio smartphone. La cosa – onestamente – mi sembra del tutto folle, così decido di indagare.
Le informazioni sui siti della Regione Sicilia e della Protezione civile regionale sono – com’è immaginabile – del tutto carenti. Non si capisce se la registrazione a quest’app sia volontaria, se sia obbligatoria, se sia necessaria per chi è in quarantena (quindi positivo) o per chi è in isolamento fiduciario (come me). Niente.
Decido di contattare il numero verde della Protezione civile regionale. Rimango in attesa per un’ora e un quarto (si, 75 minuti). Alla fine mi rispondono. La mia domanda è molto semplice: «Sono disposto a comunicarvi tutte le informazioni di cui avete bisogno, ma onestamente vorrei evitare che la Regione mi geolocalizzi tramite smartphone. Le chiedo dunque: posso rifiutare tale localizzazione, o è obbligatoria?». La signora, totalmente impreparata, mi risponde: «Ma lei lo sa che deve fare il tampone a fine isolamento fiduciario?». Eh no che non lo so. Nell’ordinanza non se ne fa menzione, né mi è stato detto coi diversi soggetti pubblici con cui sono venuto in contatto durante l’isolamento. Chiedo chi e quando mi dovrebbe fare questo tampone, ma la mia interlocutrice ovviamente non sa nulla: «Guardi… non lo so, la chiameranno, provi a parlare col medico di medicina generale… lei comunque non può rompere l’isolamento se non fa il tampone».
Accetto questa risposta, per quanto vaga e inaspettata, e ripongo la questione che mi tocca maggiormente: «signora, mi faccia capire cortesemente: questa geolocalizzazione, è obbligatoria oppure no? Le ripeto, io vi dico tutto ciò che serve, ma non mi faccio geolocalizzare».
La signora mostra nuovo sconcerto, e mi risponde in un modo che farebbe impazzire chiunque: «Ma lei non lo sa che la privacy è stata abolita?». Al che faccio presente che mi risulta difficile una cosa del genere, dal momento che per farlo ci vorrebbe una legge del Parlamento che al momento, appunto, manca. «Signora onestamente mi stupisce che io sia più informato di lei. Mi conferma quindi che è obbligatorio, anche se dal sito si capisce che è su base volontaria? Lei si rende conto di quanto è pesante la sua informazione, in assenza di conforto nella realtà?».
Questa volta la signora, sopraffatta dalla sua ignoranza e dalla sua incompetenza, decide di agganciare il telefono. Risultato? Un’ora e un quarto di attesa per due minuti di conversazione e nessuna informazione utile, solo più confusione.
Dario Tasca
Non confondiamo la protezione civile con un call center. La volontaria evidentemente sarà stata presa alla sprovvista su un argomento di recente istituzione. Non si discretita un ente che tanto sta facendo per noi pur anche se con una dialettica romanzesca.