L’orribile stupro di Catania: cosa ci insegna? Lo abbiamo chiesto a 4 studenti universitari
Due ragazzi e due ragazze hanno accettato di rispondere alle nostre domande sulla terribile vicenda della ragazza americana violentata da tre catanesi e filmata dagli aguzzini per vantarsi con gli amici. Cosa ci sta succedendo? Siamo davvero così "bestiali"?
(28 marzo 2019)
Da giorni le cronache regionali non parlano d’altro. I fatti verificatisi a Catania ai danni di una giovane americana stuprata da tre ragazzi del posto stanno suscitando sgomento, indignazione, rabbia. La vittima, una 19enne, da qualche mese ragazza alla pari in una famiglia catanese, sarebbe stata aggredita e violentata, il 16 marzo scorso, da tre coetanei di età compresa tra i 19 e i 20 anni, accusati ora di violenza sessuale di gruppo ed arrestati il 21 marzo dai carabinieri.
La dinamica di quanto accaduto sarebbe, se dimostrata, molto simile a quella descritta da numerose altre vittime di stupro: la ragazza sarebbe stata avvicinata dai tre con la scusa di un drink, e poi convinta (o costretta) a salire sulla loro auto. A seguire, il noto copione già sentito: una violenza di gruppo sulla giovane donna, che sarebbe riuscita a rubare qualche immagine col suo telefonino, e soprattutto, altro dettaglio molto inquietante, a chiamare inutilmente in aiuto un “amico” italiano con ripetuti messaggi vocali su whatsapp, caduti nel vuoto. Gli abusi si sarebbero consumati nei pressi di Piazza Europa a Catania, luogo dove, dopo aver fermato l’auto, i tre avrebbero abusato a turno della vittima per almeno un’ora, filmando le violenze come trofei con i propri cellulari, per poi vantarsene con gli amici. Le immagini, il giorno dopo, sarebbero state inviate alla stessa vittima da uno dei tre indiziati per invitarla ad un nuovo “appuntamento”, ma lei le avrebbe invece consegnate, insieme alla denuncia, nelle mani degli inquirenti, quale prova dell’orrore subito.
Da secoli provano a farci credere che sia quasi normale, in certe circostanze, finire stuprate. Qualcuno, di tanto in tanto, è capace perfino di azzardare un “ma invece di ringraziare…”. E così, davanti ad un simile orrore, c’è ancora chi ha il coraggio di porsi le domande sbagliate. Ma quando impareremo noi donne a non uscire la sera? A rinunciare all’invito frivolo di un’amica esagerata e a non mettere minigonne provocanti e tacco dodici? Quando capiremo che è meglio non accettare un drink da un uomo che si presenta simpatico e galante? Quando impareremo a stare a casa, asservite a mariti e compagni, dedite alla famiglia e ai figli, sempre pronte a dire si? Le domande, invece, dovrebbero essere altre. Qualcosa tipo: quando impareremo a dire basta alle violenze contro le donne, ai femminicidi, alle limitazioni della nostra libertà? Perché se usciamo la sera e ci fidiamo di un ragazzo simpatico, affascinante e gentile, rischiamo di finire stuprate nella sua auto, magari anche filmate con tanto di like degli amici sul social? “La cosa purtroppo non mi sorprende – dichiara a Ialmo Sara Zappulla, studentessa universitaria con un passato nell’associazionismo studentesco siracusano ed esperienze nel volontariato – perché da tempo assistiamo ad un aumento del clima di violenza nelle città, nelle scuole e anche nelle università. Questa violenza è realmente trasversale, la vedi nei confronti del disabile, se fai l’appunto sbagliato al tuo compagno di classe o al tuo collega di università, ed è anche la violenza che ascolti quando ad una ragazza si rivolgono insulti sessisti”.
Ma perché succede tutto questo? E’ diventata una moda tra i giovani o c’è qualcosa che non abbiamo capito? Risponde ancora Sara Zappulla: “Questo avviene in una società come la nostra, educata da un modello patriarcale che fin da ragazzine abbiamo interiorizzato. Io sono una figlia femmina e ho delle regole diverse dal figlio maschio, degli orari più rigidi, dei vincoli che finisco per comprendere e giustificare. E’ difficile, in queste condizioni, che una ragazza abbia contezza degli stereotipi che ha assimilato insieme alla sua educazione e che, nel suo processo di crescita, la influenzeranno per tutta la vita, proprio come i maschi ai quali, sempre per stereotipi, si insegna l’esatto contrario. Ad essere forti, vincenti, anche prevaricatori e con l’idea del possesso sul soggetto femminile che, di conseguenza, risulta più debole e da sottomettere, se si oppone, anche con la forza. Siccome sei un vero uomo, sei forte e potrai avere tutto quello che vorrai”.
I tre violentatori di Catania, come altri del passato, si sarebbero filmati e vantati dello stupro, trasformando la ragazza in un oggetto da usare e buttare: come si fa a sconfiggere questa mentalità? “Manca un vero processo di consapevolezza di se stessi – continua la studentessa – dei propri limiti, delle proprie necessità. Bisogna rivedere l’intero sistema dell’educazione nella scuola italiana, insegnare il rispetto a ragazzi e ragazze, ai bambini e alle bambine sin dalla più tenera età, anche attraverso la rappresentazione delle donne nella società. Se cerchi le donne nei programmi di letteratura o di altre materie di studio non le trovi, i premi Nobel, le grandi scrittrici scompaiono dai nostri testi, così come i “gender studies” che sono molto limitati”.
Ma quanto è radicata in noi la paura di subire violenza? “Io, sin da ragazzina, – conclude Sara Zappulla – mi sono imposta di non aver paura. Non cambiavo strada, ho continuato a ritirarmi tardi la sera, non ho voluto rinunciare alla mia libertà. Sono stata anche schernita perché mi manca una mano, e la disabilità si sa che può essere presa di mira, ma mi impongo di non farmi influenzare dalle mie paure.”
Abbiamo rivolto le stesse domande anche ad Alba Bellofiore, neo laureata in giurisprudenza e giovane attivista politica. “A me una volta è capitato di tornare a casa correndo – racconta a Ialmo – e non è stato piacevole, ho girato per un anno per le vie di Roma con lo spray al peperoncino in borsa. Non ho mai pensato di limitare la mia libertà ma mi sono organizzata in modo tale da evitare i rischi, magari non tornando a casa da sola. Il problema è che questo non succede agli uomini. Loro non devono avere paura se fanno tardi la sera, siamo sempre noi a tornare a casa spaventate, a doverci organizzare per non restare sole e questo vuol dire che, alla base, c’è un problema. Penso che si debba lavorare su questa società, – prosegue Bellofiore – per creare una nuova forma di educazione, e la parte principale deve essere diretta agli uomini e improntata al rispetto. Questo andrebbe fatto in famiglia e nelle scuole, ma a tutt’oggi non è così. Ti faccio un esempio classico: a scuola si studia l’educazione civica, ma poi i ragazzi quando diventano maggiorenni non sanno nulla del parlamento, delle elezioni, di quello che c’è dietro il governo del nostro Paese. Ecco perché, allo stesso modo, andrebbe fatta, ma sul serio, un’educazione al rispetto”.
Importantissimo, in questo scenario, è sentire anche l’opinione degli uomini. Paolo Putrino è uno studente universitario di Catania, e ci dice: “Io innanzitutto non farei una distinzione tra giovani e meno giovani. La prevaricazione del più forte sul più debole (e in particolare la subalternità della figura femminile su quella maschile) non è un problema generazionale, ma rappresenta purtroppo un modello sociale molto diffuso in tutte le fasce della popolazione. Il maschilismo e la violenza sulle donne si trova a qualunque età e in qualunque estrazione sociale, culturale, economica, oltre ad esprimersi in varie forme: lo stupro rappresenta solo una di queste, ma la violenza è anche economica (dal momento che in Europa esiste un divario significativo tra il reddito medio percepito tra donne e uomini), sociale, culturale (facendo parte anche dei linguaggi e del modo di pensare), può avvenire per strada così come fra le mura di casa, e sfociare nel femminicidio. La cosa più inquietante – continua – è che, in tanti casi, non solo questa sopraffazione esiste ma viene anche considerata giusta: quindi direi che si tratta di un comportamento accettato e considerato legittimo.
I tre violentatori si sono filmati durante lo stupro e poi vantati con i followers. Quale significato ha per te? “Il significato è molto profondo. Dimostra ancora una volta il modello culturale di cui parlavo prima, è proprio da quello che gli stupratori traggono legittimazione per la loro violenza. Fa parte di una visione della società in cui i ‘furbi’, i prevaricatori, coloro che riescono a portare un vantaggio per se stessi a discapito di qualcun altro hanno il diritto di essere considerati più in alto nella piramide sociale, e per questo migliori”.
A simili conclusioni giunge anche un altro studente universitario catanese, Giuseppe Alizzi: “Io penso che più che un fenomeno attuale, quello della prevaricazione maschile sulle donne sia più un meccanismo che abbiamo ereditato da millenni di società umana e che noi giovani ci troviamo a perpetrare, a volte anche inconsapevolmente. Nello sviluppo dell’umanità diventa quasi una legge di natura: se ci pensate, oggi, a livello economico, va avanti chi è più forte e schiaccia il più debole. Questo si ripercuote in tanti altri aspetti della vita, compreso quello sessuale, dove chi è più debole (da un punto di vista fisico) subisce la monta del più forte, naturalmente in un’ottica che distrugge, non costruisce. E’ la quotidianità, e lo è sempre stata. Per quanto riguarda il filmato sui telefonini – conclude – direi che è la dimostrazione del fatto che sta prendendo piede l’idea secondo cui se quello che fai (e riprendi) diventa quotidiano, non ti dà la sensazione che sia sbagliato. Di conseguenza, questi ragazzi hanno agito pensando che quello che hanno fatto sia assolutamente normale e quotidiano. Sembra assurdo, ma è così”.
Nadia Germano Bramante