(20 ottobre 2020)
Al tempo del Covid, il mondo scolastico si è trovato a gestire una situazione a cui non era preparato. Le classi sono diventate virtuali, le lezioni a distanza, una scuola surreale fatta di pc e tablet, come se già i ragazzi non passassero troppo tempo davanti ai dispositivi digitali. Ma tutto ciò, purtroppo è stato inevitabile. I docenti, ancora prima di insegnare, hanno dovuto imparare una modalità di didattica del tutto nuova, piuttosto difficoltosa anche per i problemi di connessione alla rete internet.
A raccontarlo l’insegnante ragusana Daniela Iurato in una lettera aperta.
Docenti sempre più soli, sempre più ansiosi. Nessuno ne parla. A volte, il problema assume connotati più gravi sfociando nel burn out, una vera e propria patologia che provoca depressione, insonnia, scatti d’ira ingiustificati, difficoltà di concentrazione. Al di là di tale aspetto, è comunque diffuso uno stato di grave disagio causato dal dover rispettare scadenze, centinaia di impegni, anni di precariato, contestazioni di genitori, atteggiamenti irrispettosi di alunni che diventano sempre più ingestibili. Per non parlare del clima intimidatorio che talvolta instaurano gli stessi dirigenti verso chi contesta la loro gestione personalistica della cosiddetta scuola-azienda. La frustrazione discende, altresì, dal fatto che finiscono per essere oggetto di un costante discredito da parte di chi assume ingiustificatamente che non facciano il loro dovere per presunti privilegi di cui godrebbero in relazione alla quantità di lavoro svolto. Invero, viene considerato quello che appare effettuato contrattualmente (in classe), trascurando il lavoro sommerso, che discende dalla correzione dei compiti, dalla preparazione delle lezioni, dalle ore impiegate per le varie pratiche burocratiche e per far fronte alle sempre maggiori richieste. Il Governo diventa, purtroppo, il maggiore denigratore, nel momento in cui non solo mantiene una bassa retribuzione, ma, confrontando il pubblico col privato, finisce per preferire quest’ultimo in un contesto in cui è protagonista la privatizzazione. Inoltre, di fronte alle inadempienze della scuola, che spesso non fornisce il servizio telematico e i dispositivi necessari per utilizzarlo, il docente è spesso costretto a far ricadere interamente su di sé il costo della connessione, utilizzando i propri dispositivi, come del resto fa dalla propria abitazione quando si attiva la didattica a distanza. Tuttavia, se da un lato il senso del dovere di ciascun insegnante realizza il quieto vivere dei dirigenti scolastici, dall’altro fa decadere la professionalità docente e sminuisce la serietà delle istituzioni scolastiche, che risultano funzionali mentre in realtà sono deficitarie. Nessun intervento statale, nessun finanziamento che consenta di sanare le inadempienze rilevate e realizzare le condizioni necessarie perché i docenti possano lavorare serenamente e adeguatamente, senza il patema d’animo che la lezione salti, che diventi impossibile, senza addossarsi i costi della connessione a Internet, senza, soprattutto, atteggiarsi a missionari pur di consentire l’attività didattica e realizzare il diritto all’istruzione dei discenti. Si tratta, in concreto, di un vero e proprio autolesionismo, che, reso ancor più evidente da un contratto poco favorevole economicamente, specie se rapportato con quello dei colleghi europei, finisce per giovare solamente a chi definanzia l’istruzione pubblica e a quei dirigenti scolastici impegnati solamente a fare apparire come funzionante un apparato che non lo è affatto o lo è solo parzialmente”.