Dalla provincia di Catania al panorama culturale internazionale: la celebre carriera di Mario Grasso
Numerosi gli scrittori che ha conosciuto durante la sua carriera, come Carlo Bo e Leonardo Sciascia
(26 ottobre 2020)
La Sicilia è sempre stata una terra di talenti e personalità illustri. Tanti nomi dello scenario culturale hanno reso prestigio alla nostra isola. Oggi vogliamo dedicare una pagina a un celebre letterato che da Acireale ha viaggiato e ottenuto successi in diverse parti di Europa. Si tratta di Mario Grasso, poeta, scrittore e giornalista, che abbiamo incontrato nel suo studio di Catania e al quale abbiamo rivolto alcune domande per approfondire la sua vita e la sua brillante carriera.
Quali sono stati i suoi esordi in letteratura?
“Fin dagli anni in cui frequentavo il Liceo Classico collaboravo con un settimanale locale. Era manifestazione del mio propendere per la scrittura e le narrazioni. Ma ero inibito da prudenza che proveniva dalle mie continue letture di scelti romanzi e saggi, quindi l’esordio nella narrativa è stato nel 1968 con il romanzo “Il gufo reale”, fantastica descrizione di un arrivista politico, che procedeva tra il bene e il male in una città del Sud Italia”.
Un ricordo dei sui anni di critico letterario su diversi quotidiani
“Ho cominciato collaborando al quotidiano La Sicilia, ma poi sono stato invitato a scrivere di analisi letterarie su Messaggero Veneto di Udine. La mia ambizione però era quella di collaborare con la redazione letteraria del quotidiano più antico e prestigioso d’Italia, La Gazzetta di Parma. Un freddo giorno di febbraio ho preso il coraggio a due mani e ho chiesto di essere ricevuto dal direttore della suddetta Gazzetta, che era Baldassare Molossi che, dopo avere ascoltato le ragioni del mio desiderio di far parte dei collaboratori esterni della pagina culturale del suo giornale, mi chiese informazioni sulla mia provenienza anagrafica. Appena gli risposi che ero di Acireale, si è alzato e con un cordiale sorriso ha evocato i giorni del suo viaggio di nozze. Da quel momento ebbe inizio la mia collaborazione con La Gazzetta Di Parma, che dopo un paio d’anni, gli impegni e i viaggi all’estero, mi costrinsero a interrompere”.
Quali insegnamenti le ha lasciato la frequentazione con Carlo Bo?
“Carlo Bo l’ho frequentato quando era rettore dell’Università di Urbino. Mi ha trasmesso la pratica per capire a colpo d’occhio il valore di un libro, come era sua norma. Riceveva decine di libri da tutta Italia a ogni settimana e il bidello glieli portava dentro una cassetta a ogni lunedì pomeriggio. Mi aveva fatto incuriosire la sveltezza con cui selezionava i libri da leggere da quelli e quelli che a suo parere erano da scartare. Un giorno gli chiesi come facesse a procedere con tanta rapidità. Mi spiegò che bastava uno chic della immagine di copertina o un ‘perché’ all’interno con l’accento sbagliato per escludere l’opera dal suo interesse letterario, critico ed estetico. Poi sarebbe lunga descrizione quanto ho appreso dagli anni in cui l’ho frequentato, fino a quando ho avuto l’onore di essere tra i componenti della giuria del premio letterario bolognese Terra e Vita, bandito dalla omonima rivista del dottor Perdisa e presieduto, appunto da Carlo Bo”.
Il suo poema Concabala, qual è la sua origine?
“Scendendo a Firenze da un autobus la vista di una gigantografia dei Bronzi di Riace, mi ha fortemente emozionato. Ho immaginato la “vita” dei due “guerrieri” adesso rappresentati dalle due statue rinvenute nei fondali del mare della cittadina calabra, e che in quel momento erano state portate a Firenze per restauri. Ne sono scaturiti diecimila e passa versi che l’editore Vanni Scheiwiller ha pubblicato in un volume di 600 copie numerate”.
Invece, Lunarionuvo e Prova d’Autore come nascono?
“Nascono dal mio programma segreto fin dagli anni in cui avevo, a terzo liceo, conosciuto il Lunario Siciliano di Francesco Lanza. La mia ambizione, da quel momento o, se vogliamo, il mio sogno, era dare una continuità a quella gloriosa rivista che si stampava in Sicilia. Ci ho provato e ne ho realizzato ben 53 volumi di 160 pagine bimestrali con le firme del gotha letterario di quegli anni, da Sciascia a Italo Calvino, da Giuseppe Pontiggia a Giovanni Arpino e via di questo passo con i siciliani, oltre a Sciascia, Addamo, Bufalino e il giovane, allora, Salvatore Scalia, oggi scrittore affermato e tra i più seri romanzieri e saggisti siciliani”.
Può raccontare qualche aneddoto sui suoi cari amici Pietro Barcellona, Leonardo Sciascia e Stefano D’Arrigo?
“Pietro Barcellona, filosofo, narratore e pittore, mi ha rafforzato nel principio di stare in guardia contro i pericoli del sottobosco letterario; Sciascia mi ha spiegato che nessun siciliano sarà spontaneamente disposto a riconoscere valore in un altro suo conterraneo; D’Arrigo mi ha lasciato l’esperienza del suo essere stato uno dei più valorosi narratori mondiali del Secondo Novecento, senza essere riconosciuto tale nemmeno dai ricercatori accademici siciliani, che potrebbero assegnare tesi a laureandi e dottorandi sul linguaggio originale e la storia delle parole e delle locuzioni con cui D’Arrigo ha imbastito il suo capolavoro, che adesso dopo la traduzione in Germania, comincia a essere tradotto il tutto il mondo. Su D’Arrigo è stato pubblicato dall’editore palermitano, Torre del Vento, un mio libro-intervista con Salvatore Cangelosi, nello scorso mese di luglio, titolo: ‘C’era una volta un certo Stefano D’Arrigo di Alì Marina’”.
Veronica Nicotra