Coronavirus, i medici di famiglia aspettano ancora i dispositivi di protezione individuale
“Ci sono ancora presidi di continuità assistenziale (ex guardia medica) – afferma Giovanni Adamo, segretario settore CA Fimmg Ragusa – che sono sprovvisti di Dpi per i medici“
(2 aprile 2020)
I medici di medicina generale (così si chiamano oggi, dopo una lunga evoluzione terminologica, dal medico della mutua al medico di famiglia, al medico di base) lamentano di essere stati lasciati, nella trincea della lotta di ‘base’ al coronavirus, senza alcuna protezione.
“Sebbene la situazione sanitaria in provincia di Ragusa non risulti finora particolarmente preoccupante, le procedure sanitarie non soddisfano tutti i settori” affermano la Federazione Italiana Medici Medicina Generale (Fimmg) e il settore Continuità Assistenziale (CA) della Fimmg che da settimane chiedono più attenzione alle amministrazioni sanitarie per il territorio. “Ad oggi – si legge in una nota – poco o nulla è stato fatto in Sicilia per rafforzare il territorio sanitario, che rappresenta il principale scenario dove combattere la battaglia contro il Coronavirus sia nella prevenzione che nel trattamento dei pazienti a domicilio. I medici di famiglia aspettano ancora i dispositivi di protezione individuale – afferma Roberto Licitra, segretario generale Fimmg Ragusa – e in Sicilia sembrano non suscitare alcuna preoccupazione le già decine di perdite che hanno colpito la categoria nelle regioni del Nord. Grazie all’intervento di realtà non sanitarie e a nostre spese stiamo ricevendo i Dpi, nonostante assistiamo ogni giorno i pazienti e vediamo come altri settori sanitari godono di altre attenzioni».
«Ci sono ancora presidi di continuità assistenziale (ex guardia medica) – afferma Giovanni Adamo, segretario settore CA Fimmg Ragusa – che sono sprovvisti di Dpi per i medici. Nonostante l’accesso previo triage telefonico, come si fa a chiedere ai medici di lavorare in trincea senza alcuna protezione adeguata o chiedere di far parte di unità speciali senza chiarire con quale organizzazione o con quali certezze di sicurezza?».
Una visione “ospedalocentrica” quella che si sta attuando per combattere l’emergenza. E che non tiene conto dei contenuti, in termini organizzativi e di risorse umane, che il territorio sanitario può offrire. Pertanto sarebbe utile convocare un tavolo di coordinamento del territorio sanitario.
«Nessuna polemica sterile – affermano Licitra e Adamo – ma adesso il territorio deve essere rispettato. Se adeguatamente equipaggiato può fronteggiare questa emergenza ed aiutare gli ospedali, dando loro la possibilità di gestire solo gli eventuali casi gravi».