Sversamento petrolio a Ragusa: i danni potrebbero essere enormi, ma la cosa sembra interessare a pochi
Da circa tre anni tonnellate di petrolio sono finite nel sottosuolo a confine con un torrente affluente dell'Irminio. Presentata interrogazione parlamentare
Da quasi 3 anni in contrada Moncillè, nell’area del “Pozzo 16” di Enimed (dismesso all’incirca da 20 anni, ma non mai chiuso definitivamente), è in atto uno sversamento di petrolio che non si è ancora riuscito ad arrestare. Dal 27 aprile, data in cui è stato segnalato lo sversamento, sono stati rimossi 2169,07 tonnellate di greggio misto ad acqua (25-30% di greggio). Ma quante tonnellate si sono perse nel sottosuolo? Fa riflettere anche la relazione del Libero Consorzio di Ragusa che, da un lato assicura che i rilievi Arpa attestano che nè il torrente nè il fiume hanno subito contaminazioni, ma poi chiude lanciando un allarme non di poco conto: «Al di là delle ipotesi sulle cause – si legge nella relazione del Libero Consorzio-, quello che preme a questo Ente è che le fuoriuscite di greggio siano state ben contenute dalla Società in questi anni. Risulta di tutta evidenza – chiude però la relazione- che la diffusione di questi quantitativi di greggio potrebbe avere effetti potenzialmente devastanti per il nostro ecosistema fluviale». Insomma, dopo quasi 3 anni il danno se c’è dovrebbe essere già evidente, anche se poi il greggio continua a farsi strada e gli effetti, in alcuni casi, si sono visti dopo diverso tempo.
Le anomalie sui controlli e sulla prevenzione che non c’è
«Le attività petrolifere – ha spiegato Aldo Ferrara Massari (in una mia intervista realizzata nel giugno 2019), professore di malattie respiratorie all’università di Siena e autore di diverse pubblicazioni tra cui “la vita al tempo del petrolio” e “Oil Geopolitics” che dedica un intero capitolo alla questione petrolifera in Sicilia, con particolare riferimento all’area del Ragusano- hanno impatti diretti e indiretti sull’ambiente e sulla salute umana a tutti gli stadi, di esplorazione, di produzione e di uso che ne comporta un forte inquinamento ambientale. Ciò premesso, trovo molte analogie tra la condizione ragusana e quella della Basilicata (dove si è registrata una perdita di 400 tonnellate di greggio creando danni enormi al paesaggio e all’ambiente). Abbiamo verificato che le attività petrolifere sono incompatibili nei territori ad alta frequenza sismica come quello della Sicilia Orientale e dell’Appennino Meridionale. Gli impatti ambientali violentano i territori vulnerabili densamente popolati, a vocazione agricola, ricchi di risorse naturali come acqua, aree naturalistiche, specie se la geoconformazione è ad alta pericolosità sismica. E’ la prevenzione il puntum dolens. Non c’è. Manca un piano efficace, globale, omnicomprensivo di Valutazione d’Impatto Ambientale. Se è possibile farlo sul piano geologico, manca la necessaria e globale attenzione al territorio. Esso va inteso non soltanto come suolo, e quindi bene comune, ma come tessuto di attività commerciali, turistiche e realtà sociali. Inoltre andrebbe utilizzato il principio di precauzione, adottato nella Legge Quadro sull’Inquinamento Elettromagnetico (D.Lgs 36/2001) per cui, in assenza od in attesa di rilievi scientifici idonei e comprovati sull’impatto di salute, vige un principio precauzionale, discrezionale, ma che comunque fornisce una sponda alla prevenzione attiva, in questo caso con lo strumento legislativo».
Un’altra anomalia, nella gestione delle concessioni petrolifere, riguarda i controlli: «Il problema – spiegò sempre il professore Ferara nell’intervista- è complesso, come quello relativo alle concessioni. Paghiamo lo scotto di normative non del tutto adeguate circa la prevenzione e lo studio del sottosuolo e soprattutto della mancanza di strutture degli Enti preposti. Diversa la situazione in altri Paesi. In Norvegia ad esempio opera un’autorità indipendente di controllo, la Petroleum Safety Authority (PSA), per la supervisione delle attività petrolifere circa tutela della salute, ambiente e sicurezza. In Italia invece i controlli vengono generalmente affidati alle strutture Arpa, spesso non del tutto adeguate per la complessità petrolifera. Non solo, ma i controlli ambientali sono spesso svolti dagli stessi controllati; solo in caso di incidenti rilevanti vengono coinvolti enti superiori, come ad esempio l’Ispra».
La situazione Moncillè ha valenza di emergenza nazionale
Nel caso specifico di contrada Moncillè, l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) è stato interessato, ma ancora non si conoscono i risultati. Insomma, c’è il sospetto che sullo sversamento di petrolio in atto a Ragusa non si è detto ancora tutto. Questo sembra essere anche il sospetto della deputata Rossella Muroni (eletta nelle fila di LEU ma che adesso fa parte del Gruppo Misto) che, su richiesta di Legambiente Sicilia, ha presentato un’interrogazione al Parlamento Nazionale. «Ci siamo rivolti all’Onorevole Rossella Muroni – spiega Alessia Gambuzza, del direttivo regionale dell’associazione ambientalista- perché se questa vicenda continuerà a restare in ambito locale temiamo non troverà soluzione. Un pozzo petrolifero dal quale si determina una continua e copiosa perdita di greggio, peraltro dopo la sua dismissione, ha valenza di emergenza nazionale e la gravità ambientale non può essere taciuta dai responsabili. Ci aspettiamo che Eni una volta per tutte faccia chiarezza pubblicamente con la comunità iblea ma ancora di più che il Ministero per la Transizione ecologica intervenga sulla vicenda». Nell’interrogazione la deputata ripercorre la vicenda divenuta nota nell’aprile del 2019 ponendo dei dubbi sull’operato della multinazionale: “Com’è possibile – si legge nel testo- che un’azienda della portata di Eni non riesca a mettere in sicurezza un pozzo sulla terra ferma per tutto questo tempo? È vergognoso che in Italia un’azienda come Eni, che dice di operare con la massima sicurezza, sia responsabile di una perdita di idrocarburi da anni, tuttora in corso, nonostante l’intervento di messa in sicurezza di emergenza”. La deputata Rosella Muroni ha quindi interrogato il governo nazionale per sapere “se si è a conoscenza di questa pluriennale perdita di petrolio nel pozzo dismesso da Eni in provincia di Ragusa; quali iniziative sono state intraprese per velocizzare la risoluzione di un problema che potrebbe creare seri problemi ambientali, alla salute dei cittadini e all’economia turistica del territorio e di conoscere cosa è emerso dagli accertamenti tecnici, che anche Ispra ha contribuito a realizzare, per valutare gli ulteriori rischi che potrebbero generarsi in futuro”.
In provincia la cosa sembra preoccupare poco
L’altro aspetto strano di questa vicenda è che in provincia, nonostante Legambiente parli di emergenza nazionale, sembra interessare a pochi. Non si trovano ad esempio grandi allarmi dell’amministrazione direttamente interessata e nemmeno la deputazione regionale e nazionale (fatte delle eccezioni come ad esempio le interrogazioni della deputata Stefania Campo).
Ciafani: l’amministratore di Eni sarebbe già dovuto recarsi a Ragusa per chiedere scusa
Del caso si è occupata Legambiente direttamente con il presidente nazionale Stefano Ciafani che, nel giugno 2019, presentò un esposto in Procura che però, a qiuanto pare, è caduto nel vuoto:
«Confermo – dichiarò in quell’occasione Ciafani- che la situazione è molto grave, non a caso abbiamo deciso di fare l’esposto chiedendo alla procura di Ragusa di utilizzare la legge sugli ecoreati, una legge per la quale abbiamo lavorato per ben 21 anni e che ha inserito finalmente i reati ambientali nel codice penale e che permette di sanzionare duramente gli inquinatori. Il delitto ambientale prevede una reclusione fino a 6 anni, il delitto di disastro ambientale la reclusione fino a 15 anni e, inoltre, si sono raddoppiati i tempi della prescrizione. Questo per dire che oggi la magistratura può utilizzare le armi più potenti contro gli inquinatori che fino a 4 anni fa hanno potuto godere di una insopportabile impunità. Noi abbiamo fatto l’esposto perché siamo certi che per la situazione di Ragusa si possa arrivare allo stesso esito dell’indagine che abbiamo fatto scattare in Basilicata dove la stessa azienda, la fantasmagorica Eni, che investe in tutto il mondo, in Val d’ Agri, nel centro oli di Viggiano, si è persa a detta loro 400 tonnellate di petrolio dai serbatoi, cioè, pensi bene, una delle big company del petrolio non aveva nemmeno i serbatoi a doppia tenuta. Quell’esposto e le conseguenti indagini hanno portato all’arresto del responsabile del centro oli.
L’Amministratore delegato di Eni De Scalzi sarebbe dovuto già arrivare a Ragusa e chiedere scusa ai cittadini, invece non l’ha fatto così come non lo ha fatto in Basilicata. Oggi l’Eni è quella che, tra le multinazionali del petrolio, Investe meno nelle rinnovabili. Un segnale importante, allora, sarebbe proprio cominciare da Ragusa dove, tra l’altro, c’è un clima idoneo perché si possa percorrere questa strada. Il petrolio ha rappresentato la fortuna di Ragusa anni fa, oggi è ora che si cambi direzione»
Quello che colpisce, quindi, è il silenzio che ha caratterizzato questa vicenda anche se va dato atto del fatto che tanti enti, coordinati dalla Prefettura, sin da subito sono scesi in campo per monitorare la situazione, ma evidentemente, se dopo quasi 3 anni lo sversamento c’è ancora, questo non è bastato.