Sanità, “valorizzare, ampliare e riorganizzare la medicina sul territorio con maggiore attenzione alle ex guardie mediche”
Domenico Scilipoti Isgrò: " E’ difficile pensare che per una semplice misurazione pressoria ad una persona anziana, che non ha qualcuno che la accompagni con un mezzo, si possa spostare dal proprio paese"
(3 gennaio 2023 – Sanità, “valorizzare, ampliare e riorganizzare la medicina sul territorio con maggiore attenzione alle ex guardie mediche”)
Riceviamo e pubblichiamo il comunicato del dott. Domenico Scilipoti Isgrò, nonché presidente di Unione Cristiana, sull’importanza di valorizzare, ampliare e riorganizzare la medicina sul territorio con maggiore attenzione alle C. A. “Nell’attesa dell’attuazione del nuovo Accordo Collettivo Nazionale del 17 maggio 2022, e prevedendo tempi lunghi fintanto che questo si dispieghi nella sua completezza, considerando che il successivo passaggio riguarda la contrattazione regionale, vorrei riflettere sul ruolo degli attuali Presidi di C. A. (ex Guardie Mediche). La nuova organizzazione della medicina territoriale presenta, a mio avviso, alcuni punti deboli e criticità. I fondi previsti dal PNRR vanno a finanziare, tra l’altro, la costituzione delle cosiddette Case della Comunità; luoghi in cui confluendo una pluralità di servizi diventeranno il punto fisico di riferimento e di facile individuazione al quale i cittadini possono accedere a un ventaglio di possibilità per soddisfare i bisogni di assistenza sanitaria, sociosanitaria e sociale. In essa lavoreranno, in modalità integrata e multidisciplinare, tutti i professionisti della salute per la progettazione ed erogazione di interventi sanitari, dove potrebbe essere prevista, fra l’altro, la Medicina integrata e preventiva, già in fase di realizzazione a breve in Sicilia. (questo servizio innovativo potrebbe anche essere inserito nelle Case della comunità a livello nazionale e finanziato con i fondi del PNRR). Tuttavia, resta un “vulnus”: ossia quello di evitare di sguarnire il territorio abolendo le Continuità assistenziali, altrimenti i piccoli centri lontani dalle Case della comunità si troverebbero sprovviste di una copertura sanitaria capillare che dia sicurezza ai cittadini e possa svolgere un ruolo fondamentale come presidio di sicurezza nei paesi più difficili da raggiungere o da cui spostarsi, per esempio, nelle isole minori e nei territori di montagna. Inoltre, lasciare la presenza di un presidio sanitario nei piccoli comuni eviterebbe il pericolo di trasferimento della popolazione ad un centro che offra maggiori tutele alla salute. Proponiamo dunque di fare una revisione generale delle presenze delle C. A. sul territorio, lasciando quelle postazioni necessarie nei luoghi sopra indicati o in altri da individuare, ma a condizione che si dia ai medici che ivi vi operano formazione almeno semestrale, presidi medici adeguati (telemedicina, possibilità di eseguire ECG e controlli ematochimici di base) e una migliore remunerazione per i compiti aggiuntivi svolti. Questi, per altro, dovranno essere un primo filtro di risposta immediata e sul territorio prima di far arrivare un paziente alla Casa della comunità propria o al Pronto soccorso. E’ difficile pensare, ad es., che per una misurazione pressoria ad una persona anziana, (che potrebbe nascondere anche un problema più grave della semplice ipertensione), che non ha qualcuno che la accompagni con un mezzo, si possa spostare dal proprio paese, dove invece avrebbe una C. A. da chiamare al domicilio o arrivarci a piedi, anziché andare alla Casa della comunità più vicina per competenza: verosimilmente non ci andrebbe. Altrimenti, il paradosso è che volendo accentrare una risposta di salute certamente più articolata in tali luoghi, si corre il rischio di lasciare ampie zone del territorio senza una adeguata copertura medica. Inoltre, questo (lasciare alcune C. A.) si rende opportuno per evitare chiamate per eventi banali al 118 che, secondo l’Accordo, dovrebbe prendersi il carico di tutta l’assistenza dalla mezzanotte alle otto del giorno successivo, per lasciare il suo intervento ai casi realmente gravi. Pertanto, i medici impegnati nelle C. A. che dovrebbero rimanere nei territori più isolati non avranno più il ruolo di “continuare l’assistenza” del collega di medicina generale, ma dovranno far evitare ai pazienti il disagio di dover raggiungere le Case di comunità o i Pronto Soccorso spesso lontani e intasati, questo per un’assistenza più pronta ed attenta ai bisogni immediati della popolazione assistita”.