Petrolio, ripartono le ricerche? A Ragusa 5 richieste potrebbero essere sbloccate
Legambiente: "per Ragusa è l'avvio di una nuova era preistorica su temi energetici"
Durante il Consiglio dei Ministri riunitosi la sera del 23 dicembre non è stata decisa la proroga della moratoria su prospezione, ricerca ed estrazione di idrocarburi varata dal governo Conte 1 a inizio 2019, in attesa che venga adottato il PITESAI (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee) da parte del Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero dell’ambiente. Dunque nella prima metà del 2021, se il Governo non correrà ai ripari, potrebbero riprendere le attività di ricerca e prospezioni di petrolio e gas.
“Per la Sicilia e per la provincia di Ragusa una tale notizia potrebbe essere l’avvio di una nuova era preistorica sui temi energetici, quella che estrae fossili dal sottosuolo e dai fondali, invece di scegliere solo ed esclusivamente lo sviluppo delle fonti rinnovabili, dal fotovoltaico all’eolico a terra e a mare, passando per il biometano” dichiara Alessia Gambuzza presidente del circolo Legambiente Scicli Kiafura e membro del Direttivo regionale di Legambiente.
Solo nella provincia iblea sono in stand by 5 domande di ricerca o coltivazione: tre da parte di Eni Mediterranea Idrocarburi: “Cinquevie”, che interessa un’area di 71 km2 tra Modica e Ragusa; “Contrada Giardinello”, in attesa di valutazione di impatto Ambientale (V.I.A.) di oltre 380 km2 tra Ragusa, S. Croce Camerina, Vittoria, Comiso, Acate, Chiaromonte Gulfi, Caltagirone e Mazzarrone; e “Piano Lupo”di 62 km2 tra Acate, Caltagirone, Gela e Mazzarrone. Altri due sono il giacimento “Bonincontro” della compagnia spagnola Petrex, 32 km2 tra Acate e Vittoria e “Case La Rocca” della società concessionaria Irminio, in attesa di V.I.A., per altri 80 km2 in territorio di Ragusa. Poi, ci sono in tutta la Sicilia altre aree sulla terraferma e altre aree marine siciliane, a poche decine di chilometri dalle isole di Pantelleria e Favignana, nell’arcipelago delle Egadi.
“Respingere la norma sull’abbandono delle trivellazioni – continua Alessia Gambuzza – è una scelta non coerente con gli impegni assunti dal nostro Paese con l’Europa. Una norma sul progressivo abbandono delle trivellazioni di gas e petrolio in Italia, a cominciare da quelle nei nostri mari, è l’unica direzione da prendere per la decarbonizzazione della nostra economia richiesta dall’Europa con il Green Deal e soprattutto con lo strumento Next Generation EU che assegna all’Italia nel suo complesso 209 miliardi di euro – il 37% da destinare ad azioni per il clima – e non prolungare la moratoria sulle trivellazioni da parte del Consiglio de Ministri significa contraddire le scelte green del Governo concordate con l’Europa”.
È dall’ottobre 2019 con una lettera aperta congiunta al Ministro Stefano Patuanelli che Legambiente, WWF e Greenpeace chiedono di varare una moratoria nazionale e il progressivo abbandono delle estrazioni di gas e petrolio, come fatto dalla Francia nel 2017, e richiamano i vantaggi economici della creazione di una filiera economica per lo smantellamento, la bonifica, il recupero e il riuso dei materiali delle piattaforme e dei pozzi a terra e a mare, che assicuri la giusta transizione verso un’economia verde.
Nei nostri mari ci sono numerosi relitti di piattaforme non produttive (le associazioni con il MiSE ne avevano individuate nel 2018 almeno 34 solo nell’Adriatico, da smantellare) e di servitù petrolifere che mettono a rischio l’ambiente e i settori economici che vivono delle risorse naturali, colpiti duramente da questa pandemia (solo nel settore della pesca sono 60mila gli addetti in Italia e di turismo costiero vivono almeno 47mila esercizi).
Si ricorda che il settore dell’estrazione di gas e petrolio sul territorio nazionale (tutte le riserve petrolifere nei nostri mari coprirebbero il fabbisogno nazionale solo per 7 settimane – dati MiSE) sopravvive artificiosamente per i numerosi incentivi, sovvenzioni e esenzioni che lo tengono forzosamente in vita: sussidi ambientalmente dannosi che sottraggono alle casse dello Stato e alla comunità nazionale almeno 40 milioni di euro ogni anno (Catalogo dei Sussidi Ambientalmente Dannosi e Favorevoli – 2018).