Nell’incontro con l’altro tutto si trasforma in “Un caos bellissimo”
Il giovane regista palermitano, Luciano Accomando, racconta il suo ultimo lavoro
Può succedere, quando si racconta al cinema di diversità, di inciampare nel pietismo, nel buonismo e nella retorica. A volte può succedere. Non è il caso di Un caos bellissimo, il corto del giovane regista palermitano, classe ‘81, Luciano Accomando. Un lavoro fatto bene sul dialogo, sull’incontro, lo scontro e il confronto con l’altro. Scoprire sé stessi, la propria radice specchiandosi nell’altro. E toccare con mano la vita, la felicità, i drammi, i dolori e gli entusiasmi di chi, fino a prima, consideravamo lo “straniero”.
Un caos bellissimo è anche il racconto di una Sicilia, “ma non tutta” ci tiene a precisare il regista, “indolente“; sempre ferma al punto di partenza. I suoi abitanti sordi, superficiali e disinteressati all’aspetto umano e profondo dei loro fratelli e dei loro cugini. Vincitore nel 2017 al Vittoria Peace Film Festival del premio Fice (la Federazione Italiana del cinema d’essai), il corto si è anche conquistato un posto come semifinalista al Los Angeles CineFest e poi una partecipazione al Via dei Corti, il Festival Indipendente di Cinema Breve.
La trama racconta la storia di Bilal, un giovane di colore figlio di un palermitano, Vito, e di una migrante, Abena. Vive a Verona con la famiglia, ma quando i genitori muoiono in un incidente stradale, torna a Palermo per cercare le sue origini e per tentare di risolvere il suo conflitto interiore. Bilal, infatti, non sopporta il colore della sua pelle, che lo fa sentire diverso, e vorrebbe essere un “obronì”, cioè un “senza pelle”, nome con cui alcune popolazioni dell’Africa occidentale si riferiscono ai bianchi. Ad accompagnarlo alla scoperta di Palermo, delle sue contraddizioni e della sua bellezza, sarà una stravagante compagna di viaggio, Lia.
Sono pochi i registi siciliani che, nonostante le difficoltà, scelgono di lavorare a Palermo. Molti sono andati lontani. Hanno scelto città come Roma o Milano per lavorare nella cinematografia. Luciano Accomando ha scelto il capoluogo come culla e incubatrice dei suoi progetti.
Come sono questi siciliani? E perché un giovane regista sceglie, caparbiamente, di restare a lavorare qui?
“I siciliani non sono un popolo incline ai cambiamenti. Ci spaventa e destabilizza. Ciò nonostante non riusciamo a sottrarcene. Penso al sentimento diffuso di insoddisfazione e a come, nei secoli, noi siciliani ci siamo disfatti del vecchio conquistatore lasciando campo libero al nuovo. Per poi, lamentarci dell’ultimo padrone e rimpiangere il passato. E questa insoddisfazione continua e perenne è il nostro più grande limite. Io ritengo, però, che ci sia davvero tanto di buono nel popolo siciliano. Siamo capaci, caparbi e testardi. Chi come me è rimasto a lavorare è ricco di inventiva, passione e voglia di lavorare, di costruire. Quando parlo di me non mi presento come un regista. Io sono un artigiano. Lavoro con le parole e le immagini. Al mattino, vado ad aprire bottega e mi butto, anima e corpo, su un progetto”.
La produzione del corto conta tutte maestranze locali?
“Si, la nostra è una produzione tutta locale. A cominciare da uno dei soggetti finanziatori: la Sicilia Film Commission. La sceneggiatura è stata scritta a due mani con la giornalista e scrittrice Eleonora Lombardo. Il direttore della fotografia è il bravissimo Antonino Rao; gli attori sono l’avolese Rosy Bonfiglio, diplomata all’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica Silvio D’Amico, e l’esordiente Abibou Ndiaye. La scenografia è di Alessia D’Amico e i costumi di Giulia Fulvio. Le musiche sono state composte da Marco Betta mentre il brano Il nostro modo è del gruppo palermitano Acting Out. Insomma una produzione tutta siciliana, per lo più palermitana, del Centro Studi Pianosequenza, realizzata con il sostegno della Regione Siciliana – Assessorato Turismo, Sport e Spettacolo – Ufficio Speciale per il Cinema e l’Audiovisivo”.
Oltre a Lia e Bilal protagonista della storia è il Genio di Palermo, l’antico protettore della città, simbolo di fertilità e rinascita. “Come scriveva lo storico Fazello nel 1558 Palermo ha meritato e mantiene la singolare fama di non essere seconda a nessun’altra città – conclude Accomando – nell’accogliere e ospitare amorosamente i forestieri. Questa città, nei secoli, si è nutrita della presenza degli altri; rendendola sempre più grande e più forte. Ed è anche per questa ragione che i palermitani hanno dato al protettore un aspetto umano”.
Cristina Lombardo