La Sicilia? Se crede in se stessa e inizia a rispettarsi può diventare la prima regione turistica d’Italia
Intervista esclusiva a Salvatore Bartolotta, coordinatore regionale dei “Borghi più belli d’Italia” nell'Isola
Dal 2015 è il coordinatore regionale dei “Borghi più belli d’Italia” in Sicilia. E’ al secondo mandato, e da tre anni sta vedendo l’Isola cambiare e diventare sempre più competitiva da un punto di vista prettamente turistico. E’ Salvatore Bartolotta, che ci parla di una Trinacria che pare stia finalmente prendendo consapevolezza delle sue innumerevoli ricchezze paesaggistiche e monumentali, comprendendo che, unite ad una cucina proclamata la numero uno in Italia dal New York Times e all’ospitalità dei suoi abitanti, di questo potrebbe tranquillamente vivere, brillando di luce propria, senza più costringere i suoi figli alla fuga. La strada, però, è lunga e tortuosa, tutta in salita. Si paga lo scotto di oltre 50 anni di assenza della politica e dell’abbandono di città bellissime, ma depredate e depauperate senza pietà.
Dal 2015 ad oggi, come ha visto cambiare le cose?
C’è stato senz’altro un incremento di presenze e la nostra Isola ha più visibilità, c’è più impegno da parte dei sindaci e i cittadini sono diventati più sensibili. Il club “I borghi più belli dItalia” è nato nel marzo 2001 e da allora siamo riusciti ad ottenere molti finanziamenti, grazie alla nostra progettualità, sia per promuovere l’immagine dei borghi, sia per cose apparentemente meno importanti, come il miglioramento delle segnaletiche, che per un turista, però, sono essenziali. Anche a Monterosso Almo, a breve, ne installeremo di nuove, perché finalmente abbiamo risolto i problemi con l’Anas. Abbiamo presentato alcuni progetti alla Regione, organizziamo di continuo convegni e conferenze, e così pian piano siamo diventati il terzo segmento turistico a livello nazionale. Fino a qualche anno fa chi veniva in Sicilia lo faceva solo per il mare e il sole, adesso anche per conoscere l’entroterra, le storie e le tradizioni. Purtroppo, non c’è mai stata una vera politica di tutela e promozione per le zone di montagna, stiamo sollecitando da tempo una legge per le zone franche montane, per defiscalizzare chi vuole fare impresa qui. Abbiamo un senso di appartenenza fortissimo a queste realtà, e vogliamo promuovere il “turismo delle radici”, per riportare qui chi è emigrato molti anni fa e non ha mai smesso di sentire la nostalgia della propria terra. Quando queste persone tornano, anche se sono passati decenni, è come se non se ne fossero mai andati. Attorno a loro si potrebbe costruire una microeconomia in grado di salvare i centri storici dei nostri borghi che stanno cadendo a pezzi.
A tal proposito, come state operando? C’è un progetto per recuperare gli immobili abbandonati?
Abbiamo da poco stipulato una convenzione con una Società per Azioni che opera a livello internazionale, ma saranno i sindaci a stabilire, singolarmente, come muoversi per incontrarne i vertici. Si tratta di investitori che cercano “condomini orizzontali”, ossia gruppi di case abbandonate dei centri storici, per metterle in sicurezza secondo i criteri antisismici ed energetici. Sistemano i tetti e gli infissi, le ristrutturano esternamente. Entro quest’anno speriamo di partire. I cittadini, inoltre, devono sapere che nella finanziaria nazionale ci sono tante agevolazioni fiscali per chi vuole restaurare.
Cosa ci manca per essere competitivi?
In realtà stiamo diventando competitivi, e i numeri lo dimostrano. Stiamo riuscendo a toglierci finalmente di dosso quel marchio infamante di “mafiosi” che ci ha logorato per anni. Da gennaio ad agosto 2018 abbiamo contato 15milioni di turisti, e molti altri abbiamo ragione di credere che non siano stati censiti. Siamo partiti da 6 milioni e da qui a qualche anno, se lavoriamo bene, possiamo diventare la prima regione turistica in Italia, superando anche il Veneto che registra 60 milioni di visitatori ogni anno. Purtroppo ci mancano le strutture, le infrastrutture e la cultura. Nelle zone marittime questo problema si avverte meno, ma nei borghi mancano i percorsi naturalistici, i servizi per un buon turismo rurale. La nostra ospitalità e la nostra cordialità, però, restano impressi nella memoria, e da questo dobbiamo partire, creando attorno ad essi un indotto che funzioni.
E’ difficile entrare nel club, ma è difficile anche restarci. Perché?
Siamo un’eccellenza, e stiamo cercando di creare una nuova forma mentis, ma non è facile. Per fortuna, si sta iniziando a registrare una controtendenza e un ritorno alla cultura del bello e questo ci aiuta. Siamo in tanti, ma il club è a numero chiuso, ne possono far parte 260 borghi circa, più quelli con siti Unesco ai quali tocca di diritto. Ci vogliono tanti requisiti, 72 sono i punti essenziali che la commissione esamina, e in questo momento siamo al massimo ma ogni anno c’è un ricambio, c’è chi entra e chi esce. Alcuni semplicemente per morosità ( ammonta ad oltre 1000 euro la quota annuale da pagare), altri perché non sono riusciti a mantenere gli standard.
La politica cosa dovrebbe fare per il turismo?
Smetterla di delegare ogni cosa alle regioni, per esempio. Fino a 20 anni fa eravamo tra le prime nazioni a livello mondiale per turismo perché tutto era nelle mani dell’Enit (Agenzia Nazionale del Turismo). Poi, tutto è passato nelle mani delle regioni, ma non è possibile presentarsi alle fiere con un prodotto spezzettato. Va venduto per intero il pacchetto Italia, sia con le città d’arte che con il mare e l’entroterra. Le regioni vanno promosse tutte, noi però dobbiamo farci trovare pronti. Formare giovani, conoscere le lingue, sistemare la segnaletica. Insomma, la politica deve dare un messaggio di unità.
Valentina Frasca