Il futuro della canapa industriale
Oggi, il settore Canapa è un’ottima opportunità per lo sviluppo del comparto agricolo e non solo. Tutto dipende da come, a livello nazionale, saranno disciplinati i vari aspetti riguardanti la filiera
(7 febbraio 2019)
Lettera aperta per arricchire il confronto
Il futuro della canapa industriale secondo Antonino Chiaramonte, Liberale da sempre.
Antonino Chiaramonte, Autore ed Esperto di Politiche Sociali, oltre a coltivarla da tanti anni, ha scritto un libro (2012) in cui affermava che la legislazione andava cambiata in merito all’utilizzo medico della canapa ed evidenziava alcune contraddizioni del sistema legislativo italiano, che ponevano questa pianta tra i mali della società attuale, nonostante fossero ben note le sue proprietà terapeutiche, impedendone nei fatti la diffusione. “Quando nel 2012 decisi di mettere insieme una pubblicazione (il libro “Juana una storia nell’erba” uscito nel 2013) che potesse offrire spunti per aprire una discussione, un confronto serio e vero sul tema Cannabis, ero partito da quello che già allora il Ministero della Sanità in Israele faceva con risultati e prospettive incredibilmente interessanti sia in termini di cura e supporto in ambito medico che in termini di sviluppo economico“. Antonino Chiaramonte è stato fra gli uomini fondamentali per la definizione della legge 242 del 2 dicembre 2016 entrata in vigore il 14 gennaio 2017. La sua proposta di legge n. 2987 redatta per l’On. Dorina Bianchi prevedeva anche incentivi per i giovani imprenditori agricoli e garantiva le produzioni italiane. Quando la commissione riunì le quattro proposte in una sola, l’ossatura era quella della sua proposta su dieci articoli e per la canapa utilizzabile nelle colture agricole poneva un livello massimo di Thc pari all’ 1 per cento.
Oggi, il settore Canapa è un’ottima opportunità per lo sviluppo del comparto agricolo e non solo. Tutto dipende da come, a livello nazionale, saranno disciplinati i vari aspetti riguardanti la filiera. C’è necessità di avere dei poli sementieri italiani. C’è ancora un vuoto sulle infiorescenze su cui occorre lavorare. “Sul settore noi italiani siamo rimasti indietro, siamo i trogloditi della canapa per aver abbandonato tutto per decenni nonostante il nostro noto e glorioso passato di grandi produttori mondiali. Il problema oggi, rispetto per esempio a Francia e Germania che hanno continuato a coltivare canapa, è che siamo indietro non solo come apparato industriale, ma anche come varietà della pianta stessa. Sul fronte normativo, fino alla nuova e recentissima legge, avevamo solo due circolari, una del 2002 su fibre e semi da utilizzare per mangimi animali e l’altra del 2009 per la canapa industriale e per i semi da poter inserire nell’alimentazione umana. Dopo la legge dunque si deve fare la filiera e il tema riguarda molto da vicino il mondo politico”. Le regioni si stanno adeguando alla legge 242 ma si stanno muovendo in ordine sparso, con provvedimenti interni dissimili e senza coordinamento con i Ministeri. Con la realtà emergente della canapa da fumare, la canapa light, non si può coltivare così liberamente in campo aperto, bisogna pensare a una coltivazione protetta in serra specializzata. In Italia c’è anche un grande numero di persone che chiede di potersi curare e di usare anche a titolo personale la Cannabis. Quindi superiamo i preconcetti pseudo ideologici e andiamo oltre le, a volte, patetiche richieste di legalizzazione o liberalizzazione degli usi possibili, quello che serve è il riposizionamento della Pianta di Canapa tra le risorse botaniche e agro industriali. L’esperimento dello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, è il modello da riproporre come importante occasione di sviluppo e guadagno per le Aziende Agricole italiane. Priorità Politiche:
-Adeguare il limite di Thc consentito dall’Unione Europea nella produzione alimentare;
-Destinare opportuni fondi per creare una vere e proprie filiere territoriali (in particolare per la coltivazione e la trasformazione in loco);
-Favorire le sinergie tra la coltivazione della canapa e il recupero dei grani antichi e delle colture tipiche dei territori;
-Eliminare disposizioni di legge che, di fatto, impongono l’importazione e ostacolano la produzione interna, sia di semi sia di prodotti semilavorati che di prodotti finiti;
-Perseguire l’obiettivo di diventare completamente autonomi attraverso la produzione di semi italiani;
-Rendere più facile e snella la possibilità di avviare colture sperimentali e aumentare i poli sementieri nel più breve tempo possibile;
-Promuovere la realizzazione di impianti di trasformazione con l’obiettivo di arrivare ad averne uno per regione entro 4 / 5 anni;
-Creare percorsi divulgativi e informativi che siano anche di sostegno all’attività agricola, agrituristica e culturale;
-Aprire un confronto Istituzionale vero che possa guardare oltre e che possa concretamente offrire una visione completa ed esaustiva dei tanti aspetti che la Coltivazione della Canapa innesca negli ambiti lavorativi e sui territori attraverso lo sviluppo di questo volano economico che non è soltanto e prettamente agricolo, ma anche industriale e fortemente sociale.
“Personalmente propongo a quanti credono in maniera convinta nelle eccezionali qualità della Canapa di porsi tre obiettivi nell’interesse del Paese intero:
–Modello Portoghese in merito alle sostanze stupefacenti: parola d’ordine Decriminalizzare l’uso personale;
-Accorpamento di tutta la legislazione sulla Canapa in una sola Norma e totale rivisitazione del T.U. 309/90 di cui (rispetto alle droghe leggere) ad oggi si possono solo elencare tristemente l’infinita successione di disastri sociali, economici e purtroppo anche umani;
-Rilancio della 242/16 con repentino superamento di limiti e paletti che rappresentano l’ultimo ostacolo allo sviluppo dell’imponente mole di produzioni Agroalimentari, farmacologiche e industriali che il nostro Paese sarebbe in grado di realizzare e proporre ai mercati fin dalla prossima primavera.
“Basta prenderci in giro con una legislazione per l’industriale e un’altra legislazione per la terapeutica. Adesso è il momento di una fase nuova, occorre dare corpo alla regolamentazione del settore basandosi sulla nuova legge, attraverso la quale è stato compiuto un enorme passo avanti. In bioedilizia per esempio le proprietà della canapa sono sorprendenti e un piano nazionale di ristrutturazione delle abitazioni più recenti avrebbe delle ricadute positive enormi su più linee, quali: la formazione di maestranze con corsi professionali per l’utilizzo del materiale; un fortissimo risparmio energetico sugli impianti di riscaldamento d’inverno e dei condizionatori d’estate; un nuovo slancio del settore edile che, come conseguenza, avrebbe altro lavoro per anni; un’ottima rigenerazione del patrimonio immobiliare nazionale. In questa ottica le aziende agricole avrebbero un profitto certo non solo dai semi, ma anche dalle fibre, ad oggi ancora inutilizzate. Si tratterebbe di un piano di investimento dai sicuri risultati per la salute pubblica e antagonista del disavanzo commerciale sull’acquisto di energia.
Dalla prima delle nostre proposte fino a quest’ultimo aspetto è tutto interconnesso e nulla può essere lasciato in secondo piano se si desidera un vero sviluppo della filiera della canapa. La Canapa è dunque il fenomeno produttivo più vivace e più ricco di estensioni positive sui territori, nelle Aziende Agricole e nei circuiti della trasformazione alimentare in cui l’italianità può dare ancora il meglio di sé.
Oggi però ci ritroviamo ad avere una Legge tutto sommato “accettabile” e che già ha innescato processi produttivi, di trasformazione e di commercializzazione decisamente interessanti che stanno generando nuove e inaspettate finestre occupazionali, ma al contempo constatiamo una impraticabilità di attuazione data dall’irrisolta questione di sempre ovvero il pregiudizio nei confronti della Canapa, la pianta industriale che invece può realmente risollevare e rilanciare l’economia italiana. Questo non può che danneggiare la capacità produttiva e competitiva sul mercato europeo di Aziende Agricole e commerciali italiane, che hanno i mezzi produttivi per primeggiare in termini qualitativi e quantitativi su un mercato in forte espansione ma che sono di fatto bloccate da una totale mancanza di chiarezza e di raccordo tra le varie norme. Dallo sviluppo della filiera produttiva della canapa si potrebbero generare positive conseguenze dal punto di vista occupazionale, determinando ingressi nel mercato del lavoro per periodi anche più lunghi rispetto alla stagionalità dei raccolti, un impulso al commercio dei prodotti rivitalizzandone l’indotto e la conseguente nascita di nuove figure professionali dedicate”.