Siti Archeologici
Caltanissetta

Parchi Archeologici, Caltanissetta: le radici
 antichissime di Caltanissetta si rispecchiano in ogni angolo del 
suo territorio. Il ponte di
 Capodarso, edificato da maestri
 veneziani nel 1553, ne è un
 valido esempio, fu infatti considerato la terza bellezza dell’isola, insieme all’Etna e al lago di Lentini. Vicino alla città si possono visitare anche i resti del Castello di Pietrarossa, probabilmente costruito dagli Arabi e distrutto da un terremoto nel 1567. A Caltanissetta sono presenti inoltre tre importanti parchi archeologici. Il parco di Palmintelli, venuto alla luce a seguito degli scavi condotti nel 1988, è situato in una zona centralissima della città. Originariamente l’area ospitava un complesso funerario risalente all’età del bronzo, numerosi sono i reperti archeologici ritrovati al suo interno. A circa cinque chilometri dalla città troviamo il parco archeologico di Gibil Gabib. Gli scavi, iniziati nella seconda metà dell’Ottocento e continuati a più riprese nella metà del secolo scorso hanno rivelato la presenza nella zona di insediamenti preistorici indigeni e di età greca. Vennero portati alla luce anche parti della cinta muraria e un vero torrione di difesa della metà del VI secolo a.C. Le statuette rinvenute nella zona testimoniano l’esistenza di vari spazi dedicati al culto e alla venerazione. Un po’ fuori dal centro abitato troviamo infine il parco archeologico di Sabucina, venuto alla luce negli anni Sessanta. Nel sito sono stati individuati insediamenti che si susseguirono dall’età del bronzo antico fino al periodo romano.

Villaggio protostorico contrada Consi, Butera: rappresenta l’elemento archeologico più antico finora rinvenuto a Butera, si trova a sud-est dell’altura su cui sorge il castello medievale, dove sono stati individuati resti di capanne databili tra l’VIII e la metà del VII secolo a. C. Inoltre, la particolare posizione geografica in cui sorge Butera, ha fatto pensare che il sito dovesse essere stato occupato da un importante insediamento antico. Le prime testimonianze vennero alla luce solo agli inizi del secolo scorso a nord di Piano della Fiera, dove Paolo Orsi identificò i resti di una necropoli del IV-III secolo a. C. L’indagine archeologica venne ripresa negli anni Cinquanta dallo studioso romeno Dinu Adamesteanu. A seguito delle scoperte effettuate nel corso di quell’indagine, Butera e il suo territorio sono entrati a far parte della letteratura archeologica come una delle zone più importanti della Sicilia interna; importanza accresciuta e dimostrata dalle ricerche attualmente in corso da parte della Soprintendenza di Caltanissetta.

Sito Contrada Cappellano, Delia: situato nei pressi della SS 190 che collega Delia a Caltanissetta, in Contrada Cappellano, è sede di insediamenti umani dell’antica età del bronzo; vi sono state rinvenute alcune tombe a forno, di cui una a doppio forno, in ottimo stato di conservazione. Da segnalare anche il cosiddetto “Castidrazzu” che recenti scavi archeologici hanno identificato con il Castello medievale di Sabuci. Nei pressi della costruzione sono stati trovati reperti risalenti al III millennio a.C. e numerosissime testimonianze del passaggio delle varie popolazioni che hanno conquistato il territorio.

Mura Timoleontee di Capo Soprano, Gela: gli scavi archeologici degli anni Cinquanta hanno portato alla luce queste fortificazioni considerate dagli studiosi tra le più importanti e meglio mantenute tra le mura di difesa dell’archeologia classica. La loro funzione era quella di circoscrivere e difendere l’originaria città di Gela edificata dai coloni cretesi nel 689 a.C. e poi distrutta qualche secolo dopo. La scoperta della zona archeologica è legata ad un episodio curioso: fu un contadino che, avendo sognato un tesoro segreto nascosto nella sua proprietà, si mise a scavare trovando i resti di queste fortificazioni. La loro datazione è stata fissata intorno al V secolo a.C. prima della presa di Gela da parte dei Cartaginesi, mentre il quartiere abitato circostante le mura sarebbe di età timoleontea. Le mura sono costruite in pietra arenaria nella parte inferiore, e sono sovrastate da mattoni in argilla essiccati al sole raggiungendo un’altezza di tre metri. Le fortificazioni cingono un’area parco che separa la città odierna dal mare, ricchissima di vegetazione, dove si svolgono, in uno scenario incantevole, molti eventi, tra i quali le rappresentazioni delle tragedie greche organizzate dal Comune. Accanto al parco, inoltre, sono stati riportati alla luce i resti di due necropoli di età arcaica e di un impianto termale della stessa età di costruzione delle mura, considerato uno tra i più antichi in funzione nell’antichità. Le terme, il cui modello era precursore di quelle poi impiegate dai romani, prevedevano anche un sistema avanzato di riscaldamento e di conservazione delle acque tramite una canalizzazione sotterranea e l’utilizzo di grandi vasche.

Acropoli, Gela: situata sulla collina di Molino a Vento, era, come di uso comune nell’antichità, la parte più alta della città, dalla quale dominare con la vista tutto il territorio sottostante. Il luogo era adibito anche a costruzione di luoghi sacri e templi. Questo fin quando Timoleonte, preso il governo della città, vi fece costruire un centro abitato, soppiantando i luoghi di culto. Tra i ritrovamenti più importanti riportati in vita è da menzionare la base di un tempio dorico dedicato ad Atena e datato intorno al VI secolo a.C. I resti delle terracotte policrome che ne decoravano i frontoni e la trabeazione sono oggi visionabili presso il Museo Archeologico. Il ritrovamento di un’altra colonna dorica fa presupporre la presenza di un secondo tempio, anch’esso dedicato alla dea guerriera. Da segnalare anche i resti di due cisterne a campana, di alcune abitazioni e di un lungo muro di cinta.

Bosco Littorio, Gela: il nome attuale gli venne attribuito in epoca fascista. Si tratta di un’area sabbiosa, ricchissima di vegetazione, all’interno della quale sono stati ritrovati i resti di un emporio greco databile intorno al VI secolo a.C. La struttura dell’emporio è a base quadrangolare con muri alti, costituiti da mattoni crudi essiccati al sole. In molte parti si mantiene l’intonaco originario delle pareti. I ritrovamenti consistono per lo più in ceramiche e contenitori, che avvalorano la tesi dell’uso commerciale della struttura. Tutti i reperti sono visionabili presso il Museo Archeologico.

Monte Castellazzo, Marianopoli: è una necropoli riferibile all’età del rame. Al suo interno gli studiosi hanno individuato anche un’acropoli ed un nucleo abitato circondato da cinta muraria di età ellenistica, probabilmente l’antica Mytistraton distrutta dai romani nella prima guerra punica. Moltissimi i resti portati alla luce e visionabili presso il museo archeologico della città: dalla monete alle ceramiche, dalle armi alle stele con iscrizioni in greco. Segnaliamo anche: il Monte Balate è stato sede di un centro abitato indigeno poi ellenizzato e ha restituito i resti di un santuario sull’acropoli; la Necropoli di Valle Oscura a sud del Monte Balate custodisce alcune tombe (VI sec. a.C.) che appartenevano agli abitanti indigeni dell’antica città e sono tutte scavate all’interno di rocce o anfratti naturali già utilizzati allo stesso scopo in età preistorica.

Stazione Philosophiana, Mazzarino: si tratta di un abitato di origine romana-bizantina che comprende i resti di un edificio termale e di una basilica bizantina la cui struttura interna è a tre navate. Il nome è derivato da un ex feudo che ricadeva nel territorio di Mazzarino, cioè il feudo di Sofiana in contrada Pitrusa. Importante la struttura termale in marmo che oggi mostra tracce di mosaici. Da menzionare gli oltre 200 pezzi in bronzo rinvenuti nel calidario. Al di là dei resti di origine romana, inoltre, testimonierebbe la presenza di una delle prime civiltà sicule.

Siti di Milena: nel 1978 venne localizzato in Contrada Serra del Palco-Mandria un ampio e complesso insediamento neolitico. Sulle pendici est del Monte Campanella sono state inoltre portate alla luce tracce di un insediamento protrattosi per diversi secoli il cui nucleo più antico è documentato da diversi fori che fanno pensare ad alloggiamenti per pali lignei di strutture perimetrali o di capanne. Insediamenti simili sono visibili anche in contrada Monte Grande-Fontanazza, Rocca Aquilia, Rocca Amorella-Pirìto, lo Zubbio di Monte Conca e Mezzebbi. Il Monte Campanella custodisce una necropoli risalente al XIV secolo a.C. costituita da tombe a tholos di piccole dimensioni ma di particolare interesse e raffinatezza costruttiva, venute casualmente alla luce a seguito di uno smottamento. Le tombe hanno un’apertura di forma rettangolare con una triplice cornice e pianta sub-circolare. L’età romana ha lasciato notevoli testimonianze legate a oggetti d’uso comune ed al lavoro nei ricchi giacimenti di zolfo, come la preziosa tegola sulphuris con l’iscrizione di Marco Aurelio Commodiano (II secolo d.C.), custodita presso l’Antiquarium A. Petix.

Polizzello, Mussomeli: nel sito archeologico di Polizzello è possibile osservare una necropoli rupestre e numerose grotte dette a forno per la loro forma e la loro dimensione. Da segnalare anche: sul Monte Raffe resti risalenti al periodo greco e romano (tra i reperti, si annoverano molte monete dell’epoca greca e rottami di vasi e lucerne), purtroppo l’area non è custodita e molti reperti di grande interesse archeologico sono stati rubati e sono andati ad arricchire collezioni private; poco distante dalla città troviamo poi la necropoli rupestre di Cangioli, ricca di grotte e loculi scavati nella pietra.

Contrada Petrusa, Niscemi: alle pendici di Niscemi, è allocato un sito archeologico di epoca tardo antica. Sono stati ritrovati i bolli su anfora dei Praedia Galbana, poderi che appartenevano allo stato, al cui interno erano stanziati magazzini annonari. Rimangono odiernamente i resti di una Mansio, ovvero una stazione di sosta (età imperiale), gestita dallo Stato per i viaggiatori. Accanto alla Mansio sorgeva una stazione per il cambio dei cavalli. Si pensa esistesse un’antica strada che portava alla contrada Piano Camera, altra zona archeologica. I recenti scavi hanno riportato alla luce un complesso termale, sempre in contrada Petrusa. Secondo gli archeologi, sono ben visibili e riconoscibili il calidarium (parte delle terme destinate ai bagni caldi o ai bagni di vapore) con il forno a combustione, un vasto vano di tepidarium (parte delle terme destinate ai bagni tiepidi) e le suspensura (pilastri a base quadrata che fungevano da sostegno al pavimento) che spargeva il calore sotto il pavimento, potendo riscaldare così l’acqua. Nell’area di Niscemi sono anche presenti siti archeologici risalenti all’epoca arcaico-classica, tra l’ottavo ed il quinto secolo a.C., nelle contrade Castellana e Arcia Iacolano, dove sono state rinvenute ceramiche che lasciano intuire la presenza di insediamenti umani dediti allo sfruttamento agricolo del territorio, reso possibile anche dalla presenza del vicino fiume Maroglio. Testimonianze di arcaiche forme di culto religioso sono state, invece, riscontrate a Pisciotto e Valle Madoni, oltre che nella stessa contrada Arcia, dove sono stati rinvenuti resti di antiche necropoli.

Costa di Mandorle, Riesi: sulla strada delle Zolfare si scorgono, incastonate nella roccia, un centinaio di piccole tombe molto vicine l’una all’altra. Si tratta di una necropoli datata probabilmente intorno al VII secolo a.C., in età siculo-sicana, come è possibile dedurre dalla struttura delle camere mortuarie che, in quel periodo, erano create per contenere tutto il nucleo familiare con i corpi poggiati alle pareti, così da ricreare una sorta di focolare domestico.

Monte Vassallaggi, San Cataldo: il sito archeologico si erge su delle collinette, tra il fiume Salso e il Platani. Venne frequentato già nell’antica Età del Bronzo, come testimoniano i resti del villaggio Motyon, con le sue ceramiche rosse a motivi geometrici, e la necropoli di grotte incastonate nella roccia. La zona venne abbandonata durante tutta la tarda Età del Bronzo, per poi essere ripopolata nell’Età del Ferro; di quest’ultimo periodo sono, infatti, i sarcofagi in ceramica, gli strumenti di guerra e le ceramiche ritrovati durante gli scavi. Sul sito si nota anche la presenza di tracce cristiane grazie ai resti delle tombe riportate alla luce. La visita del sito si sviluppa su tre percorsi molto interessanti non solo dal punto di vista archeologico, ma anche da quello naturalistico, con un paesaggio ricco di vegetazione e di scorci ameni.

Cozzo dello Scavo, Santa Caterina Villarmosa: antico insediamento databile all’Età del Ferro. Al suo interno gli scavi hanno riportato alla luce molti oggetti in argilla, vasetti, monete ma anche strumenti da lavoro quali telai e macine in pietra. Molto importante il ritrovamento dell’anello bronzeo di datazione punica. Tutti i reperti sono visionabili presso il Museo Archeologico di Caltanissetta.

Contrada Grottadacqua, Serradifalco: sito di natura rurale, è situato su una collinetta a forma di cresta di gallo, detta “Lu vanzu”. Gli scavi hanno portato alla luce una necropoli databile all’epoca di Micene e molti resti di agglomerati agricoli appartenenti all’Età del Rame, del Bronzo, ma anche del Neolitico.

Tomba di Vallelunga, Vallelunga Pratameno: sita presso la Collina Tanarizzi, nota come “Pirrera”, è stata scoperta casualmente nel 1915, durante uno scavo funerario e venne studiata dall’illustre archeologo Paolo Orsi. Si scoprì un magnifico complesso funerario rupestre (artificialmente ricavato dalla roccia) di epoca Siculo Eneolitica. Notevole anche il materiale rinvenuto, tra vasellame e prodotti di artigianato d’immenso valore, oggi conservato presso il museo Paolo Orsi di Siracusa, nella sala preistorica. In anni successivi, oltre al corredo funerario, furono rinvenuti reperti scheletrici, inizialmente confusi dagli abitanti del paese di Vallelunga con ossa di animali; il materiale fu inviato all’Università di Pisa, Dipartimento di Scienze Archeologiche e studiato a lungo. Le analisi svolte sui reperti mostrarono come si trattasse di resti umani dei defunti sepolti nella Tomba Vallelunga e risalenti alla stessa epoca, forse sei persone, maschi e femmine, tutti adulti. Questi restituirono uno spaccato delle abitudini di vita dell’epoca, ne risultò che si nutrivano principalmente di caccia e facevano un discreto consumo di cereali e vegetali. Oggi il sito è stato rivalorizzato. La Pirrera ospitava anticamente una cava di sabbia e argilla.

Portella della finestra, Villalba: è un sito megalitico che sorge sulle Serre di Villalba in un’area chiamata Cozzo pirtusiddu. Ad attirare l’attenzione degli studiosi, un monolite che richiama, per forma e possibili significati, l’idea di una antichissima “criosfinge” con volto orientato verso Polizzello, un’opera rupestre di notevole suggestione.

San Marco, Sutera: collinetta di natura gessosa dove sono stati riportati alla luce resti di ceramiche e un anfratto databile all’età bizantina, all’interno del quale è possibile ammirare scorci di affreschi dell’epoca.

Monte Ottavio, Montedoro: lungo il versante est del Monte Ottavio si trovano numerose grotte naturali e tombe risalenti al periodo di insediamento sicano e greco, oltre a numerose miniere ben conservate ma pericolose da esplorare perché non sono mai state messe in sicurezza.

Sito di Bompensiere: poco fuori dal centro abitato sono presenti i resti archeologici di un villaggio del II millennio a.C., visibili numerose tombe rupestri.

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