Concorsi truccati all’Università: il racconto di Giambattista Scirè, vittima di quel sistema marcio
Nel 2011 partecipa al concorso da ricercatore in Storia contemporanea a Catania. Tutto va bene, ma il posto viene assegnato ad un’altra persona, priva pure dei requisiti minimi. Da allora inizia una battaglia che non si è ancora conclusa
(10 luglio 2019)
“Non mi sono affatto meravigliato, anzi me lo aspettavo. Nel corso della mia vicenda personale, certi metodi usati nell’ambiente accademico ed ascoltati nelle intercettazioni, mi erano già chiarissimi”. A parlare è Giambattista Scirè, ricercatore vittoriese e docente di storia e il riferimento è all’operazione “Università Bandita” che ha portato alle dimissioni dei vertici dell’ateneo catanese dopo le indagini della Procura di Catania sui presunti concorsi truccati e la sospensione di nove professori (più il Rettore) con, in totale, 40 docenti indagati.
La storia di Giambattista Scirè inizia nel 2011, quando partecipa al concorso da ricercatore in Storia contemporanea all’Università di Catania. In palio c’è un contratto a tempo determinato, ma, sebbene abbia tutte le carte in regola e il concorso vada bene, il posto va ad un’altra persona, priva pure dei requisiti minimi. Scirè avrebbe potuto lasciar perdere e buttarsi tutto alle spalle dicendosi che, in fondo, in Italia, è così che funziona. Invece, nella sua testa scatta qualcosa. E’ un misto tra rabbia e delusione, ma c’è sicuramente, in primis, la certezza di essere vittima di un’enorme ingiustizia. “Mi sono presentato da esterno ad un concorso per ricercatore in Storia contemporanea bandito dall’Università di Catania. Sorpreso dall’esito della valutazione, – racconta a Ialmo – feci accesso agli atti e scoprii quello che mai mi sarei atteso. La commissione aveva dichiarato vincitrice l’unica, tra i sei candidati giunti alle selezione finale, a non possedere il dottorato di ricerca. Era laureata in architettura ed aveva un profilo scientifico di un altro settore disciplinare, ovvero progettazione urbanistica e storia dell’architettura. Aveva meno della metà del punteggio delle mie pubblicazioni. Quel concorso era stato cucito su misura per far vincere lei. Allora feci ricorso al Tar di Catania nel 2012, il quale , già all’inizio, ordinò alla commissione di attenersi al decreto ministeriale e riformulare la graduatoria, specificando i titoli che non erano congrui al settore messo a bando. Ma i commissari elusero l’ordinanza, l’ateneo non nominò mai una commissione di diversa composizione, e lei prese servizio al mio posto (per 2 anni e 6 mesi). Questo comportò un danno erariale, come scrissero i giudici nella sentenza del 2014 che mi dichiarò vincitore del concorso. A quel punto l’ateneo eluse, a sua volta, la sentenza, il che comportò la non proroga del mio contratto (feci in totale 4 mesi sui 5 anni complessivi, e mi accordarono un risarcimento del danno). Successivamente altre due sentenze, una del Consiglio di Giustizia amministrativa siciliano nel 2015, l’altra nuovamente del Tar nel 2017, hanno riconosciuto le mie ragioni. Infine, qualche mese fa, è giunta la condanna penale della commissione per reato di abuso di ufficio in concorso tra loro. La mia vita, da quel momento, è completamente cambiata”.
In effetti, ad oggi, la sua carriera ha subito una brusca frenata su tutti i fronti. Non solo non ha avuto il posto, ma è stato, letteralmente, isolato. “Sicuramente la maggiore difficoltà è stata l’isolamento dall’ambiente nel quale lavoravo, – continua Scirè – cioè quello accademico, i colleghi dell’Università. I presunti amici e colleghi sono diventati indifferenti nella migliore delle ipotesi, nemici nella peggiore, perché la mia denuncia li metteva in difficoltà di fronte ai docenti delle commissioni che decidevano il bello e il cattivo tempo ai concorsi, quindi anche la loro sorte. Solo qualche docente autorevole e moralmente integerrimo, soprattutto quelli più anziani e in pensione, si sono schierati dalla parte giusta senza tentennamenti. Ho assistito, da parte di giovani colleghi, a ragionamenti incredibili e surreali che tendono a “perdonare” le responsabilità di chi pilota i concorsi. L’altra enorme difficoltà – prosegue – è che, per come è strutturato il sistema università-ricerca, fai un percorso di studi e di specializzazione che ti porta a concentrare tutte le energie su laurea, dottorato e ricerche scientifiche, dai 19 ai 35 anni almeno, e poi se non entri in modo strutturato (considera che solo il 5-8% dei dottori di ricerca di tutti i settori viene assorbito) sei tagliato fuori per sempre dal mondo del lavoro. Non è facile reinventarsi a 40 anni in questo mercato del lavoro quando sei iper-qualificato”.
Giambattista, molti, in situazioni simili alla tua, si lasciano tutto alle spalle e vanno avanti. Perché ti sei intestato questa battaglia, lunga, ardua e dispendiosa?
Hai ragione, ho insistito quasi fino all’inverosimile nel voler denunciare pubblicamente i fatti perché sono un tipo abbastanza testardo, andando in molti casi contro gli stessi consigli di conoscenti, amici e parenti. Chi te lo fa fare? mi dicevano in molti. Voglio precisare una cosa. Non sono un guerrigliero e tanto meno una specie di Masaniello, anzi sono un tipo fondamentalmente mite. Non è una malintesa “voglia di ribellione” al sistema la mia. Se però vedo un sopruso perpetrato dai potenti ai danni di qualcuno che si trova in una condizione di debolezza, allora non mi fermo. Sono solo una persona perbene, lo devo al mio dovere di cittadino, nel senso che significa che sento il bisogno di denunciare le cose che non vanno, per non essere connivente né complice. E’ un bisogno di certezza delle regole, di trasparenza delle procedure, di onestà e coraggio che voglio riconoscere a me stesso ma che vorrei anche rintracciare intorno a me. E qualcosa si sta muovendo, almeno ho questa sensazione. Questa è la mia più grande speranza affinché questa battaglia che hai giustamente definito “lunga e dispendiosa” ne sia valsa la pena.
Hai mai pensato che non ce l’avresti fatta a far emergere il marcio e ad ottenere ciò che è tuo di diritto?
Sono sincero, no. Ho sempre avuto una fede smisurata sulla verità dei fatti, e sul trionfo della giustizia. Ero sicuro delle mie ragioni e anche nei momenti più difficili e più duri, anche quando le sentenze tardavano ad arrivare, quando il muro di gomma della commissione prima e dell’ateneo poi sembra insuperabile, ho sempre saputo, in cuor mio, che ce l’avrei fatta.
Chi ti è stato vicino e chi ti ha lasciato solo?
Chi mi ha isolato ed emarginato te l’ho detto prima. Anche a livello di amicizie, in pochi hanno capito veramente la portata e il senso profondo della battaglia che mi sono intestato, che andava molto oltre la rivendicazione di un diritto di giustizia individuale, anche perché si trattava di un contratto di ricerca a tempo determinato, quindi non l’occasione del cosiddetto “posto fisso”. Anche per questa ragione in molti non hanno capito. In realtà la mia è stata una battaglia di principio, ideale, piuttosto che per ottenere un risultato concreto in termini di vantaggio personale. Qualche amico e amica importante che ho acquisito nel corso della mia vicenda, e soprattutto i miei genitori sono le persone che mi sono state sempre vicine, supportandomi e incoraggiandomi nei momenti più difficili. E’ sicuramente a loro che dedico questo momento di resurrezione personale dopo gli anni dell’inferno e dell’isolamento.
Con l’operazione Università Bandita, sebbene il procedimento giudiziario sia solo agli inizi, è stato confermato quanto di marcio ci sia negli ambienti universitari e dei concorsi. Tu, insieme ad alcuni colleghi, hai creato un’associazione che cerca di “sollevare il velo”…
Abbiamo dato vita ad una associazione che si chiama “Trasparenza e merito. L’Università che vogliamo” e che incita a denunciare pubblicamente fenomeni di mala università e concorsi truccati, ho avuto la conferma che quel malcostume di clientelismo e di malaffare accademico è molto più esteso e generalizzato di quanto si possa pensare. A questo proposito, in questi giorni abbiamo fatto un appello al Presidente della Repubblica affinché dica una parola forte di censura rispetto all’emergenza costituzionale dei concorsi truccati. In fondo il cittadino pensa che all’Università regnino il Sapere, la Scienza, la Cultura, ma non è sempre così, anzi molto spesso certe persone si sono fatte scudo del loro presunto curriculum accademico per commettere le peggiori nefandezze. Tutto ciò colpisce molto l’opinione pubblica perché proprio laddove più alta e delicata è la funzione istruttiva svolta, maggiore dovrebbe essere la rettitudine morale e il senso di giustizia. Che siano fior di docenti a commettere illeciti addolora e colpisce ben più di qualunque altro comune reato.
L’inchiesta si sta allargando ad altri atenei. Cosa pensi e speri che ne venga fuori?
Sono convinto che quei metodi siano diffusi in altri atenei, anzi la mia non è una sensazione ma una certezza dovute alle tante segnalazioni all’associazione e alle tante sentenze che ripropongono sempre lo stesso meccanismo oliato. Credo che l’inchiesta “Università bandita” riserverà altre sorprese su Catania e si estenderà ad altre procure.
Come sei cambiato tu, nel frattempo? Questa sfida di Davide contro Golia come ti ha trasformato?
Sono cambiato moltissimo. Prima ero un inguaribile idealista, adesso ho iniziato ad essere un po’ più realista e diffidente nei confronti degli altri, ne ho viste e subite davvero troppe. Credo però di essermi rafforzato molto caratterialmente, mantenendo ferma la voglia di conoscenza e di studio che ho sempre avuto, provando a reinventarla in un ambito non direttamente accademico ma in un contesto più dinamico e affascinante, a mio avviso.
Hai fiducia nella giustizia?
La magistratura, sia a livello amministrativo sia a livello penale, è stata l’unica Istituzione dello Stato che mi ha tutelato dai soprusi subiti e, in qualche modo e in parte, ha sancito un risarcimento del danno subìto. Certo il danno alla mia vita personale, alla vita sociale, alla carriera professionale, è stato incalcolabile (8 anni di vita non si recuperano con delle sentenze) ma questa è una responsabilità da imputare in primo luogo alla commissione e all’università, ed eventualmente, in seconda battuta, al sistema ministeriale e al sistema politico che non va mai oltre le parole e la propaganda.
Col senno di poi, rifaresti quel concorso?
Ti sembrerò forse un po’ matto o un marziano idealista ma la risposta è sì.
E cosa ti aspetti adesso?
Il mio sogno sarebbe di poter tornare a fare il mio lavoro di ricerca e insegnare in una Università completamente cambiata. Ecco perché è importantissima la battaglia per la modifica dei metodi di reclutamento universitario che stiamo portando avanti con l’associazione. Mi piacerebbe che il progetto intrapreso divenisse ancora più importante e diffuso. L’altra cosa che mi piacerebbe è poter tornare a scrivere libri e andare in giro per l’Italia a conoscere persone perbene, oneste, coraggiose e convinte che questo Paese si possa davvero cambiare a partire dalla pubblica istruzione e dall’università. Credo che valga la pena provarci.
Cosa ti senti di dire a tutti i giovani (e anche meno giovani) che tentano la strada della carriera accademica e/o che, in generale, si mettono in gioco con i concorsi?
Il mio consiglio è di vivere la vita, affrontare le sfide, quindi anche i concorsi o le competizioni di qualsiasi natura, sempre con entusiasmo, grinta e coraggio, contando solo sulle proprie forze ed energie, senza cercare aiuti o favori da altri, proprio come quando vado in mountain bike. Si è da soli in mezzo al paesaggio, in tutte le condizioni atmosferiche, nella più dura salita da percorrere, ma l’importante è trovare il ritmo alla pedalata. Ritmo significa felicità, e questo vale per tutto: è una metafora di vita.
Valentina Frasca