Il Decreto Sicurezza smantella 4 centri nel Siracusano, fiore all’occhiello dell’accoglienza
In quelle strutture vivevano minori e famiglie che concretamente stavano ricominciando a vivere, integrate nel territorio. "Li abbiamo illusi - dicono amareggiati gli operatori - gli abbiamo detto che rispettando le regole avrebbero avuto un futuro, purtroppo non è stato così"
(9 aprile 2019)
Ore 8 del mattino: c’è chi fa colazione, chi tra bambini e ragazzi si prepara per andare a scuola, chi programma una giornata di studio per sostenere esami scolastici che, in prospettiva, vuol dire conseguire un titolo di studio e iniziare l’abilitazione professionale per apprendere una professione.
Ore 8 del mattino: l’inizio di una giornata come tante per ragazzi (tra cui molti minori) e famiglie ospiti di alcuni centri d’accoglienza della provincia di Siracusa. Da ieri, però, questa routine durata alcuni anni si è interrotta bruscamente, sostituita da una frettolosa partenza verso una direzione ignota. A chiudere i battenti, secondo quanto stabilito da un provvedimento della Prefettura di Siracusa, quattro CAS (centri di accoglienza straordinaria per migranti) che, nei giorni scorsi, hanno ricevuto la comunicazione di chiusura dei progetti in essere: l’Arcobaleno e il “Mater Dei” di Siracusa, “La Zagara” di Città Giardino (Melilli), e il centro “Freedom” di Priolo Gargallo. Per gli ospiti in possesso di determinate caratteristiche è stato previsto il trasferimento in altri centri siciliani, per tutti gli altri, giunti a Siracusa a più riprese prima dell’avvento del “Decreto sicurezza” entrato in vigore lo scorso ottobre, non vi è alcuna certezza sul futuro che li attende.
Per questi ultimi, infatti, non sarebbe prevista alcuna ricollocazione, lasciando intendere senza appello che la presenza sul territorio nazionale di queste persone non sarebbe più tollerata. A consegnarli ad un futuro di incertezza e clandestinità o, nel peggiore dei casi, al reclutamento da parte della delinquenza locale, gli effetti oramai sempre più tangibili della politica messa in atto dall’attuale governo (votato al populismo) ma anche di quello precedente (miope e poco lungimirante), che non hanno saputo/voluto programmare un serio ed efficace sistema di integrazione per i migranti, tanto per fare un esempio, sul modello virtuoso adottato dal tanto vituperato sindaco Mimmo Lucano. Nuovi modelli di sviluppo in grado di generare lavoro per gli ospiti delle strutture e, a cascata, per operatori e lavoratori dell’indotto che vi ruotava attorno.
Nei Cas siracusani questo esperimento si è bloccato ieri mattina, quando i pulman per il trasporto dei migranti sono arrivati di buon mattino e hanno cominciato a fare il pieno di passeggeri. Ad accoglierli volti spaventati e smarriti. Al “Mater dei” di Belvedere, migranti ed operatori colti di sorpresa da una disposizione perentoria che non si aspettavano, così come quelli de La Zagara, struttura ben integrata sul territorio da cinque anni a Città Giardino, che dava lavoro a 15 dipendenti con una capacità di oltre duecento posti letto nei momenti di maggiore affluenza. Di quanto accaduto abbiamo parlato con la responsabile Giuliana Garufi: “E’ stato l’epilogo di un’esperienza fantastica fatta di lacrime, sorrisi, paure, emozioni fortissime. Per noi, è stata la fine di tutto e per i nostri ragazzi (i migranti) è stata la fine di una speranza. Noi li abbiamo illusi, gli abbiamo sempre detto che rispettando le regole e cercando di integrarsi avrebbero avuto un futuro, purtroppo non è stato così perché i loro sforzi non sono stati premiati. Non è stato un lavoro facile, spesso chiamava la Prefettura per chiederci di ospitare ancora delle persone quando avevamo già molti migranti. Siamo arrivati, nei periodi più “caldi”, ad oltre 272 ospiti, che la struttura riusciva a contenere a malapena, ma pur di non lasciare quelle persone senza un tetto le accoglievamo. Ricordo che abbiamo accolto 130 minori provenienti da Augusta dopo lo scoppio dello scandalo a scuola, e c’erano bambini soli di 9 anni!”.
La Prefettura ha annullato l’ultimo bando di gara in cui il centro era arrivato al nono posto in graduatoria con una gara effettuata prima del Decreto Sicurezza, quindi non ci si spiega l’annullamento. “Temevamo che, con l’azzeramento degli sbarchi, – prosegue Garufi – potesse esserci qualche difficoltà ma noi avevamo pur sempre 70 migranti quindi non ritenevamo assolutamente di chiudere. Anzi nei mesi scorsi avevamo partecipato ad un incontro in Prefettura per spiegare che la nostra vecchia cooperativa aveva chiuso e noi dipendenti pur di andare avanti ne avevamo formata una nuova. Un nuovo progetto che, con sacrificio, volevamo portare avanti e la risposta era stata di incoraggiamento a continuare. Invece poi, una settimana fa, sempre dalla Prefettura è arrivata la comunicazione che il Centro doveva chiudere: un fulmine a ciel sereno” .
In Italia ci sono circa 131 mila ospiti, tra Cara, Cas e Sprar secondo i dati forniti da Unhcr. Con il decreto Minniti, i lavoratori impegnati nel sistema accoglienza, in rapporto al numero di migranti, nel 2017 era di uno ogni tre ospiti. Attualmente, a seguito della riduzione delle ore di lavoro da dedicare al sistema accoglienza previste dal decreto Salvini, le priorità sono cambiate, riducendo il rapporto tra operatori ed ospiti ad 1 a 8. Parliamo di diverse figure professionali operanti nei centri: personale sanitario, mediatori culturali, insegnanti, psicologi e avvocati, alcuni anche giovani lavoratori under 35, che sicuramente perderanno il posto generando un nuovo vuoto occupazionale che l’Italia, e soprattutto la Sicilia, non possono permettersi. “Siamo molto amareggiati – conclude Garufi – anche perché eravamo una delle migliori strutture della provincia. Abbiamo saputo dal nostro legale che si potrebbe presentare ricorso contro la chiusura, ma i nostri 70 ospiti sono stati portati via e noi licenziati, quindi ogni provvedimento lascerebbe il tempo che trova. Ci rimane tanta rabbia perché per noi non è stato mai solo un lavoro, io ho vissuto dentro al centro, è stata la mia vita e agli ospiti devo tanto. Oggi ho 37 anni e due figli piccoli e mi ritrovo improvvisamente senza lavoro e senza prospettive, specie in un luogo difficile dal punto di vista occupazionale come Siracusa. Lo stesso penso per molti dei nostri ospiti perché in Italia l’accoglienza è finita, molti ragazzi dopo aver rischiato la vita per venire qui non so se avranno ancora opportunità di integrarsi, già per loro è stato faticoso con un centro alle spalle, figuriamoci lasciati a se stessi a ricominciare da zero in una nuova provincia”.
“Avevo il sentore che qualcosa stesse cambiando, visto il periodo storico che stiamo vivendo – dice a Ialmo Salvatore Caramma, Operatore legale del Centro “La Zagara” – Certo, non immaginavo che accadesse in maniera così improvvisa e repentina, soprattutto che questi “trasferimenti”, ma forse le dovrei chiamare deportazioni, avvenissero senza tenere conto del lavoro svolto da noi operatori e dei percorsi di integrazione compiuti dai nostri ospiti. I bambini erano iscritti a scuola, avevano gli amici; i ragazzi hanno frequentato corsi, superato esami di licenza media, alcuni avrebbero dovuto farli a breve, altri avevano ottenuto dei contratti di lavoro, stavano iniziando i tirocini formativi, tutto questo vuol dire integrazione a Siracusa”.
Da operatore dell’accoglienza che ne pensa del decreto Salvini?
Penso che sia un provvedimento che voglia palesemente restringere i diritti e la libertà degli individui, creando nuove forme di tensione sociale. Non va a risolvere i problemi, crea solo criticità perché la questione immigrazione si affronta pensando ad una seria regolazione dei flussi, ne è un esempio l’annullamento della protezione umanitaria. Una scelta grave che peggiora la situazione antecedente al decreto perché spinge verso nuove forme di esclusione sociale a danno dei migranti più vulnerabili.
Cosa le ha lasciato questo lavoro?
Questo lavoro è stata una delle esperienze più belle della mia vita, la fine è stata brutta ma non sufficiente a cancellare tutto il bello che ho vissuto, tutte le facce, i sorrisi, le lacrime incontrate, tutte le storie delle persone che abbiamo ascoltato ed abbiamo cercato di aiutare nel nostro piccolo. Posso dire che di questa esperienza mi porto dentro principalmente le persone.
“Mi sono sentita morire, la parola che mi viene in mente pensando a quello che ho visto accadere ieri è “deportazione” – spiega, visibilmente scossa, un’altra operatrice del Centro La Zagara, Tiziana Biondi, che aggiunge – Ieri questa gente aveva lo stesso sguardo smarrito che ho visto quando sono arrivati per la prima volta, e noi allo stesso tempo sentivamo un grande senso di rabbia ed impotenza. Del resto, abbiamo lavorato per fare integrazione, questo ci veniva chiesto dai bandi ai quali abbiamo partecipato con la nostra cooperativa ed è quello che abbiamo fatto in questi cinque anni. Ma, a quanto pare, non è servito a niente. Parliamo di famiglie di tutte le nazionalità che qui hanno creato legami con i siracusani, una rete solidale bellissima della quale non si parla mai ma che nel nostro caso era realtà e ne porteremo sempre il ricordo”.
Cosa le rimane?
Oltre ai bellissimi ricordi di tante amiche ed amici provenienti dall’altra parte del Mediterraneo, e ai volti sorridenti dei numerosi bambini di tutte le età che abbiamo accolto, tanta rabbia! Il nostro era un centro che rappresentava il fiore all’occhiello del sistema di accoglienza, quando c’erano le ispezioni o le visite istituzionali i politici venivano da noi a fare passerella perché sapevano che avrebbero fatto un’ottima figura. Non abbiamo né rimorsi né rimpianti.
Nadia Germano Bramante